Negli Anni Settanta il caso di Ted Bundy ha scombussolato l’intera opinione pubblica americana. Il suo è stato il primo processo trasmesso in diretta tv, il primo che presentava così tanti elementi di contraddizione da tenere con il fiato sospeso tutta la comunità.

Ted Bundy era un uomo affascinante, colto, repubblicano, una persona per bene, eppure era un tremendo assassino, efferato, violento, spaventosamente bravo a plagiare la mente delle giovani donne, sue vittime predilette, e sicuramente poco credibile come serial killer, vista la sua apparenza così poco consueta per un mostro.

Proprio in questa dualità tra apparenza e sostanza si trova il nucleo del film di Joe Berlinger, che prima ha raccontato su Netflix la storia di Bundy attraverso un documentario in quattro episodi, un resoconto attento e puntuale, e poi si è servito della macchina cinema per una narrazione meno scientifica ma forse più affascinante, visto che accantona l’aspetto giudiziario della faccenda e ne evidenzia quello umano, non di Bundy ma delle donne che lo hanno vissuto e che si sono innamorate di lui.

In particolare, pur concentrandosi sul protagonista interpretato da Zac Efron, Berlinger adotta il punto di vista di Liz Kendall (Lily Collins). La donna vive in prima persona non solo l’orrore di cui è accusato l’uomo che ama, ma soprattutto è l’esempio della negazione prima e della dura presa di coscienza poi: com’è possibile che un essere umano possa essere tanto marcio, tanto cattivo dentro?

La Collins riesce perfettamente a dare al suo personaggio tutte le sfumature necessarie, fino alla sua scena conclusiva, il confronto ultimo in cui esige la verità, e noi con lei. D’altra parte la scelta di Efron nei panni di Bundy si conferma molto adatta: il fascino del personaggio si sposa alla perfezione con le fattezza da bravo ragazzo dell’ex protagonista di High School Musical, che riesce a restituire sorrisi vaghi che instillano attrazione e ambiguità, esattamente come faceva Ted Bundy.

Il titolo originale del film, Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile (Estremamente malvagio, incredibilmente cattivo e vile) è semplicemente la descrizione di Ted Bundy, laddove la distribuzione italiana ha preferito un titolo più comune e “rassicurante” (Ted Bundy – Fascino criminale) ma che comunque riesce a colpire il centro del bersaglio: è il fascino del male, quel male nascosto e insospettato, che ancora oggi, dopo la confessione, dopo che il criminale in questione è stato giustiziato da 30 anni, lascia spaesati e increduli. Perché il serial killer, il mostro, non salta da un angolo buio con i denti aguzzi e un pugnale in mano, ma si mimetizza, si nasconde alla luce del sole, in mezzo alle persone normali, come ha fatto Bundy.

Ted Bundy – Fascino criminale è un tentativo di raccontare l’incredulità del mondo di fronte a un essere così privo di umanità e l’invito a credere che è accaduto tutto, nonostante il sorriso beffardo e accattivante del protagonista.

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RASSEGNA PANORAMICA
Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
ted-bundy-fascino-criminaleTed Bundy – Fascino criminale è un tentativo di raccontare l’incredulità del mondo di fronte a un essere così privo di umanità e l’invito a credere che è accaduto tutto, nonostante il sorriso beffardo e accattivante del protagonista.