Pet Sematary: recensione del film tratto dal romanzo di Stephen King

film horror Pet Sematary

Arriva al cinema Pet Sematary, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Stephen King che per la seconda volta arriva sul grande schermo, dopo il discusso film del 1989 a opera di Mary Lambert (Cimitero vivente).

 

Con l’avvento di IT, di cui aspettiamo il secondo capitolo a ottobre, sono tornati in auge gli adattamenti dal Re del Brivido che questa volta non si pronuncia sull’esito del film tratto da uno dei suoi più famosi racconti, una riflessione sulla morte che ha un risvolto cinico e cruento. Esattamente come Pet Sematary diretto da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, che però si prende parecchie libertà rispetto alla trama originale, decisione che si scontrerà per forza violentemente con i fan duri e puri di King.

Il dottor Louis Creed si trasferisce con la famiglia, moglie, due figli e un gatto, a Ludlow, una cittadina isolata al limitare di un bosco, per sfuggire alla frenetica vita che conduce un medico del pronto soccorso. La proprietà acquistata dai Creed comprende un grande giardino che diventa bosco, e proprio nel bosco c’è un inquietante piccolo cimitero, dove i bambini vanno a seppellire i proprio animali domestici. Oltre a scoprire il macabro ritrovo, i coniugi Creed e la loro primogenita Ellie fanno la conoscenza anche di Jud Crandall, l’anziano e solitario vicino, che sembra conoscere molto bene quei luoghi.

Pet Sematary, il film

Kölsch e Widmyer dividono la loro versione della storia kinghiana in due parti: la prima è una specie di introduzione, abbastanza fedele al materiale di partenza, che dispone le pedine e si conclude con le scene che hanno per protagonista Church, il gattino di Ellie. La seconda parte è caratterizzata da un netto allontanamento dal romanzo, da una parte giustificato con il desiderio di non realizzare un remake del film del ’89, che era per contro molto fedele al libro, dall’altra forse spiegato con il desiderio di stupire i fan anche di fronte a una storia le cui svolte narrative sono ben note.

Il risultato è un film certamente imperfetto, che non manca di fascino, ma che risulta fiacco nel voler cercare la tensione e il brivido attraverso una costruzione delle scene mai davvero efficace. È un peccato però, perché le interpretazioni di Jason Clarke e John Lithgow sono intense e credibili, nonostante il resto della messa in scena sia debole.

Protagonista assoluto sembra essere il gattino Church, che nella seconda parte e nella sua seconda vita, nel film, è il mezzo narrativo a cui si affidano tutte le scene madre e lo strumento attraverso il quale si prova a instillare la paura nello spettatore.

La riflessione di King sulla morte, sui legami che oltrepassano i confini tra mondo dei vivi e mondo dei morti e il desiderio di avere ancora un po’ di tempo con i cari che ci vengono portati via arrivano annacquate e deboli, senza riuscire davvero a dare spessore a una storia che, pur presentando tutti gli elementi riconoscibili della letteratura dello scrittore del Maine, si limita a giocare in superficie con paura, dolore, elaborazione del lutto e perdita.

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Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
pet-semataryLa riflessione di King sulla morte, sui legami che oltrepassano i confini tra mondo dei vivi e mondo dei morti e il desiderio di avere ancora un po’ di tempo con i cari che ci vengono portati via arrivano annacquate e deboli, senza riuscire davvero a dare spessore a una storia che, pur presentando tutti gli elementi riconoscibili della letteratura dello scrittore del Maine, si limita a giocare in superficie con paura, dolore, elaborazione del lutto e perdita.