The Boy

I recenti tentativi di rivitalizzare un filone alquanto asfittico quale l’horror contemporaneo hanno prodotto risultati abbastanza deludenti, e di certo una prestazione come quella messa in scena da The Boy non può certo dirsi un’eccezione alla regola. Pensato dal suo sceneggiatore Stacey Menear come una lettura contemporanea del celebre filone gotico dell’haunted home, il film si dimostra fin dalle sue premesse tutt’altro che vincente, cercando disperatamente di introdurre una qualche (inesistente) dose di novità in un registro narrativo e stilistico ormai defunto da almeno tre decadi.

 

Decisa a lasciarsi alle spalle un passato alquanto burrascoso, la giovane Greta in The Boy abbandona il nativo Colorado per trasferirsi in una piccola cittadina inglese, assunta come babysitter da una coppia di anziani coniugi costretti a separarsi momentaneamente dall’amato figlioletto Brahams. Giunta nell’imponente residenza vittoriana Greta scopre però che il ragazzino altro non è che una bambola di porcellana, la quale viene trattata come un autentico bambino. Superato l’imbarazzo iniziale e costretta a rispettare delle rigide norme, la giovane si prepara a passare le successive due settimane da sola nella sinistra magione, ma ben presto iniziano a succedere eventi inquietanti che le fanno sospettare che forse dietro al sinistro bambolotto si annida un qualche terribile segreto.

The Boy film recensioneThe Boy, il film

William Brent Bell, abile mestierante del genere ansiogeno distintosi già da molto tempo grazie ad alcuni colpi di blockbuster quali i recenti mokumentary L’altra faccia del diavolo (2012) e Wer (2013) si trova qui al suo primo autentico progetto di grande respiro, dimostrandosi però del tutto incapace di trovare una formula vincente per tradurre un racconto già di per sé ancorato a fastidiosi cliché. Servendosi di una debordante quantità di riferimenti cinefili a dir poco imbarazzanti e arrancando faticosamente per tutti i primi tre quarti di girato, la pellicola di Bell gioca tutte le carte negli ultimi dieci minuti, sfoderando un colpo di scena sicuramente interessante e che porta lo spettatore quantomeno a ricalibrare le proprie sicurezze acquisite, scontrandosi però in pieno petto con un’ulteriore celebre citazione metafilmica disonesta e fuori luogo. Il bambolotto-bambino appare scontatamente come un erede più che naturale di Chucky tanto quanto di Annabelle, così come le porte che sbattono e le anguste soffitte non possono che riportare alla memoria una ben nota tradizione filmica qui declinata in maniera maldestra e priva di quella gustosa creatività dimostrata dal regista nell’ottimo Stay Alive (2006).

Adagiandosi sulle anonime prove attoriali di Lauren Cohan e Rupert Evans The Boy mostra palesemente tutte le proprie pecche di scrittura e di messa in scena, e ancora più miseramente si macchia della colpa di ingannare uno spettatore desideroso di emozioni forti e destinato ad assopirsi in un oceano di sbadigli e inutili colpi di decibel.

 

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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
the-boy-con-lauren-cohanThe Boy mostra palesemente tutte le proprie pecche di scrittura e di messa in scena, e ancora più miseramente si macchia della colpa di ingannare uno spettatore desideroso di emozioni forti e destinato ad assopirsi in un oceano di sbadigli e inutili colpi di decibel.