The Vast of Night, recensione del film di Andrew Patterson #RomaFF14

Un film che omaggia la fantascienza anni '50, focalizzandosi sull'ascolto come canale privileggiato per generare terrore

the vast of night recensione

La camera da presa esce con eleganza dalla centralina telefonica dove lavora la giovane Fay e si muove indipendente e minacciosa tra le strade della silenziosa città. La sua corsa appare inarrestabile, animata di vita propria, accompagnata da una cupa e incalzante colonna sonora. Con grande virtuosismo entra all’interno di una palestra dove si svolge un importante partita di pallacanestro.

 

Si sofferma per qualche istante su questa. Poi, oltrepassando una finestra, è di nuovo è sulla strada. Presenza inquieta ed inquietante, si dirige senza sosta alla stazione radio dove incontriamo Everett, l’altro protagonista di The Vast of Night. Basterebbe questo straordinario piano-sequenza a raccontare tutto del film dell’esordiente Andrew Patterson.

Presentanto al Festival di Toronto, e successivamente nella sezione “Tutti ne parlano” della Festa del Cinema di Roma, il film porta un chiaro omaggio alla serie televisiva di culto Ai confini della realtà e ai racconti fantascientifici dello scrittore H. G. Wells, costruendo da queste basi propria originalità e forte attrattiva. Protagonisti del film sono Fay (Sierra McCormick) e Everett (Jake Horowitz), i quali durante una sera d’estate, mentre gli abitanti di Cayuga sono radunati per una partita di pallacanestro, scoprono sulle onde radio della cittadina una misteriosa e agghiacciante frequenza. I due inizieranno così ad investigare sulla sua origine, cambiando per sempre le loro esistenze.

The Vast of Night: si ha più paura di ciò che si sente ma non si vede

Il film diretto da Patterson dimostra profonda devozione verso quell’immaginario fantascientifico edificato nel corso degli anni cinquanta tramite il cinema, la letteratura e la televisione. Lo dimostra a tal punto da introdurre la macchina da presa, e con lei lo spettatore, proprio all’interno di un televisore d’epoca, il quale trasmette un programma fantascientifico la cui puntata del giorno porta lo stesso titolo della pellicola.

Da qui ha inizio il film, costruito attraverso una messa in scena che mira a tenere lo sguardo dello spettatore costantemente stregato dallo schermo, stordito dai rapidi scambi di battute e i dispersivi spostamenti nello spazio. Il regista utilizza la camera per pedinare i suoi personaggi, con una costruzione dell’inquadratura che suggerisce davvero la presenza di un occhio esterno che osserva gli eventi da lontano. Qualcosa di invisibile, percepibile soltanto attraverso l’udito.

Si entra nel vivo nel momento in cui la giovane Fay, al lavoro nella sua postazione di centralinista, scopre la misteriosa frequenza, ricevendo inoltre numerose chiamate di persone allarmate da qualcosa avvistato nel cielo. Con un unico, lungo, primo piano della ragazza in ascolto, e senza mostrare altro che questo, il regista riesce a costruire un crescente senso di inquietudine ed oppressione. Non si vede nulla, ma è ciò che sentiamo a rendere il tutto più vivo e minaccioso.

Un trucco particolarmente vincente, accentuato dal contrasto tra l’ambiente cupo e ristretto nel quale si trovano i protagonisti, e noi con loro, in confronto alla vastità degli spazi aperti e dell’intero universo. Una costruzione della messa in scena che il regista ripropone più volte in modi sempre nuovi. Passando la palla da Fay ad Everett, è ormai indubbio il ruolo privileggiato riservato all’atto dell’ascoltare, a cui si affiancano idee di regia in grado di aggiungervi valore.

Dall’interno della stazione radio si concretizza il terrore che sempre più si fa spazio nella storia, rivisitato attraverso il media della radio e del suo potenziale, ben noto già ad Orson Welles quando nel 1938 terrorizzò gli USA con la sua realistica lettura del romanzo La guerra dei mondi.

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The Vast of Night, l’esordio di un talento da tenere d’occhio

È indicativo come proprio nel momento in cui la minaccia acquisisce un nome, “le persone dal cielo”, essa diventi progressivamente meno inquietante. Nell’avvicinarsi al finale, diventando sempre più concreta, questa sembra perdere quell’aura di mistero che l’aveva caratterizzata fino a quel momento. Una risoluzione inevitabile forse, che mantiene ad ogni modo il suo fascino pur sgonfiando in parte quanto fino a quel momento costruito.

Ciò tuttavia non intacca il valore del film. Impreziosito anche dalle ottime prove attoriali dei due protagonisti, nella sua interezza The Vast of Night dimostra le capacità narrative e di costruzione dell’immagine di Patterson. Un talento capace di prendere una storia tutt’altro che originale e di renderla tale, tanto da un punto di vista visivo quanto uditivo.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
the-vast-of-nightPur indebbolito dal finale, il film dimostra le capacità narrative e di costruzione dell'immagine di Patterson. Un talento capace di prendere una storia tutt'altro che originale e di renderla tale, tanto da un punto di vista visivo quanto uditivo.