Tutti al Mare: recensione del film di Matteo Cerami

Tutti al Mare

Questo weekend saremo già al mare, perlomeno andando al cinema. Esce nelle sale infatti Tutti al mare, opera prima dell’esordiente Matteo Cerami, cognome pesante, che dirige una commedia scritta appunto dal padre Vincenzo, che ha anche una parte nella pellicola.

 

Anche Tutti al Mare è un “figlio d’arte” visto che la diretta ispirazione, come conferma lo stesso regista è Il casotto, film del 1977 di Sergio Citti, sempre scritto da Vincenzo Cerami e prodotto da Gianfranco Piccoli, provocatore e produttore di quest’ultima opera. Provocatore perché è stato lui ad avere l’idea di ritornare sulla spiaggia di Casotto e vedere come sono cambiate le cose. Nel film di Citti il protagonista principale era appunto un casotto di uno stabilimento di Ostia, dal quale non si usciva mai e nel quale entrava ogni possibile umanità, anche una giovanissima Jodie Foster, oltre che un esordiente Luigi Proietti.

Tutti al Mare di Matteo Cerami invece il protagonista è un chiosco fronte mare , nel quale entrano ed escono personaggi e animali. La storia inizia e finisce in una giornata d’estate in uno stabilimento romano gestito da Maurizio (Marco Giallini) scapolo con madre a carico che accoglie, viene sfruttato e sfrutta i suoi avventori con prezzi al limite dell’usura per una sdraio e ombrellone. Attorno a lui si sviluppano le storie dei bagnanti del weekend, personaggi che sono in bilico tra il buffo e il patetico, tra la commedia e la tragedia.

Tutti al Mare

Tutti al mare, ci tiene a sottolineare il produttore, non è un seguito de Il casotto, ma un nuovo esperimento: laddove il film di 34 anni fa descriveva dei personaggi tipici dell’Italia di quegli anni, qui si tenta lo stesso procedimento e ne viene fuori, sempre per usare le parole del produttore, un’Italia “spiaggiata”. Dal canto suo, Vincenzo Cerami sottolinea come Il casotto fosse un film claustrofobico mentre Tutti al mare è un film in cui c’è l’esatto opposto, c’è troppo “fuori” che entra nella storia, è un film agorafobico. Ovviamente, i riferimenti all’illustre predecessore sono vari e sparsi qua e là nel film, e prendono forma nella figura di Ninetto Davoli, che interpreta un pescatore che vende pesce veramente fresco e “trote di mare”, tipiche della zona,  che quindi fa da collante, insieme a Proietti, tra il passato ed il presente, oltre che fornire un legame anche con un altro personaggio, Pier Paolo Pasolini, che viene ampiamente citato in una scena in cui i due ragazzi immigrati che lavorano nel chiosco di Maurizio reinterpretano il finale di “Che cosa sono le nuvole?”.

Ad omaggiare definitivamente Sergio Citti ci pensa invece il personaggio di Gigi Proietti, che lo inserisce tra i sette re di Roma. Altre citazioni sono sparse nel film, ma ben nascoste, come ha piacere di sottolineare lo sceneggiatore Vincenzo Cerami. E’ un film corale, in cui ogni personaggio ha un proprio spazio di azione, come nell’avanspettacolo in cui i personaggi si alternavano incrociandosi ma senza mescolare le loro storie. Questa forse una delle pecche del film, i personaggi sono tanti e tutti molto ben delineati, forse sono  troppi per un film di soli 95 minuti.

Ed in effetti il film ha un cast che mette insieme il passato e il presente del cinema italiano; dai già citati Proietti e Davoli, poi Anna Buonaiuto, che interpreta una diva della televisione molto sopra le righe, Ilaria Occhini, passando poi per Marco Giallini, Ennio Fantastichini, un’apparizione di Valerio Mastrandrea fino ad arrivare alle nuove leve Francesco Montanari, Ambra Angiolini e Libero De Rienzo, tutti quanti veramente nella parte. E addirittura Pippo Baudo nei panni di se stesso.

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