Anna Foglietta: intervista alla madrina di Venezia 77

Ecco il nostro incontro con Anna Foglietta, premiata attrice italiana e madrina della settantasettesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Ecco il discorso di Anna Foglietta in apertura di Venezia 77:

Buonasera a tutti e benvenuti alla 77esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Una edizione speciale che già di diritto entrerà nella storia. Innanzitutto perché ha sfidato le insidie dell’incertezza grazie a un piano di sicurezza studiato nei minimi particolari. La partecipazione attiva del pubblico, chiamato responsabilmente a collaborare, dimostrerà che oggi in Italia si può fare cultura senza correre rischi.

Questa edizione è stata voluta con forza e tenacia dal direttore Alberto Barbera, e sostenuta e supportata da tutti i direttori dei maggiori festival europei, e dal nuovo Presidente della Biennale Roberto Cicutto, al quale voglio fare il mio personale in bocca al lupo.

La Mostra d’arte cinematografica sta per aprirsi, e si svolgerà nei giorni previsti; teatro, musica e danza hanno mantenuto i loro programmi salvo qualche inevitabile cambiamento. Architettura ed arte seppure rinviate al 2021-2022 sono comunque presenti nella mostra al Padiglione Centrale dei Giardini che racconta la Storia della Biennale che proprio nel 2020 compie 125 anni. Nel più rocambolesco dei contesti mondiali, a Venezia anche quest’anno sono arrivati film da ogni angolo della terra, quei film che parlano di noi, delle differenze che ci arricchiscono, dei cambiamenti che ci travolgono: ci avreste mai creduto?

Abbiamo tutti pensato che non appena avessimo ricominciato ad annusare la libertà saremmo tornati ad abbracciarci più forte che mai e che ogni gesto che fino ad allora reputavamo scontato sarebbe diventato il gesto per sempre. Ancora siamo in un limbo, in una terra di mezzo dove la paura ci impedisce di realizzare quello che davvero vorremmo, però guardiamoci intorno… stiamo nuovamente condividendo un’esperienza culturale e stiamo respirando, pur se filtrata, la stessa aria per vivere insieme e in sicurezza un festival innovativo che rimarrà nella storia come un modello che ci insegna che le cose, se ci si crede veramente, si possono fare.

Che bel verbo…fare…ci ho ragionato tanto in questo tempo sospeso. Fare è proprio una bella cosa, propositiva, concreta, autentica. Questa estate ho conosciuto un anziano signore, un contadino dignitoso come un dio, un uomo con gli occhi piccoli e vivaci e le mani segnate dalla sua storia che mi ha insegnato in maniera precisa l’importanza del fare senza perdersi in chiacchiere. Quest’uomo buono è stato come un faro per me, un simbolo vivente di un’Italia che lavora e che senza dire una parola invita all’onestà, che attraverso l’esempio esorta a fare senza porsi ulteriori interrogativi perché già nell’agire ci sono tutte le risposte, e quindi la felicità. Mi ha fatto capire che nel mio paese di persone che fanno ce ne sono eccome, ed io di loro e a loro voglio parlare. A quella Italia fatta di sguardi attenti, di etica e tradizione, di passione per la propria natura. Sentiamo un richiamo antico che riecheggia dentro di noi accendendo un fuoco fatto di sentimenti veri, una voce esplodere irrompere e dirci “Sei vivo!”. Nonostante tutto quello che accade e che tenta di trascinarci verso un baratro quella voce lotta e grida che siamo vivi. Noi siamo vivi, e esserlo significa tornare ad Essere Umani, significa lottare affinché ci sia sempre una valida e onorevole alternativa all’abbrutimento intellettuale, all’anarchia del lecito, alla visione unilaterale del reale.

Noi artisti in questo siamo non solo facilitati, ma anche legittimati a cercare soluzioni: è il nostro lavoro. E la nostra grande responsabilità è quella di tradurre tutto questo in una lingua universale che tutti possano comprendere.

Prendersi cura del pianeta e non solo del nostro giardino, aiutare l’infanzia e non solo i nostri figli, creare opportunità di benessere per tutti, e non solo per noi stessi. Il valore del nostro essere umani sta proprio nel grado di empatia che riponiamo nelle nostre azioni.

Questo è stato l’anno degli invisibili e l’arte si è fatta più volte vostra portavoce, ed allora io, anche da questo importantissimo palco, intendo rivolgervi il mio più sentito grazie. Grazie a tutte le donne e gli uomini che hanno lavorato e lavoreranno per Venezia 77: anche se non godete mai dei riflettori della ribalta, siete la vera linfa e il vero motore del Festival… siete come dei pionieri! GRAZIE.

Grazie Venezia, una città che ha sofferto particolarmente, una città che è un riferimento per il mondo e che ogni essere umano dovrebbe avere il diritto di visitare almeno una volta nella vita. Ma il grazie più forte di tutti vorrei rivolgerlo a tutti i medici, paramedici, staff sanitari, farmacisti e tecnici, che hanno vissuto un incubo neanche lontanamente paragonabile al nostro. E vorrei abbracciare forte tutti i familiari delle vittime del Covid 19. Siete nel nostro cuore.

È stata dura, lo è ancora adesso. Ma il futuro non è scritto. E forse questa volta abbiamo non solo la facoltà ma anche il dovere di immaginarlo, e poi di costruirlo, il mondo che verrà.

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