Era dai tempi di Tutta la vita davanti che Paolo Virzì non metteva una vena così feroce, un ghigno così beffardo nel descrivere la nostra società e i suoi mali. Lo fa qui in Il Capitale Umano, lasciando la commedia all’italiana per il noir, per un dramma tinto di humour nero, in cui il riso non distoglie dalla desolazione dell’insieme. Siamo in Brianza, nel mondo lussuoso di ville da fiaba, se non fosse che i personaggi che lo abitano ci riportano a una realtà ben poco edificante. Sulla scorta del romanzo dell’americano Stephen Amidon – che trova una seconda vita nel contesto nord italico, grazie all’adattamento di Francesco Bruni, Francesco Piccolo e Virzì stesso – Virzì si diverte a svelare le storture, le miserie, l’ordinaria meschinità che si nascondono dietro a questo mondo da sogno. Fotografia impietosa di una società che sembra aver perso il suo “capitale umano”.

 

In Il Capitale Umano Dino Ossola (Bentivoglio) è un immobiliarista in crisi disposto a tutto pur di risollevarsi. Giovanni Bernaschi (Gifuni) è un mago della speculazione in borsa e non aspetta che uomini come Dino per fare affari. Quando i loro figli si fidanzano, tutto si mette in moto. Attorno a questi giochi pericolosi, si muovono Carla Bernaschi (Bruni Tedeschi), ricca moglie dalle ambizioni frustrate, Roberta (Golino), la compagna di Dino, psicologa accogliente e “aspirante madre”, e i due giovani: Serena (Matilde Gioli) e Massimiliano (Guglielmo Pinelli), su cui le rispettive famiglie riversano ansie e aspettative troppo alte. Nel momento più critico, a complicare tutto interviene un incidente.

Resta un vasto campionario di bassezze: arrivismo cieco, padri che si servono dei figli per i propri scopi, che li vogliono sempre vincenti, uomini incapaci di amare, donne velleitarie, che disprezzano ciò di cui non possono fare a meno e non sanno coltivare ciò che dicono di amare, adolescenti insicuri, ma anche aggressivi e sgradevoli. A rappresentarlo, attori straordinariamente in forma che, coadiuvati dal lavoro di sceneggiatura, danno l’opportuna complessità ai personaggi: Bentivoglio e Gifuni, incarnazioni diverse della “naturalezza del male”, uno con la sua furbesca piccineria, l’altro con la sua disinvolta ostentazione di potere; Valeria Bruni Tedeschi perfetta nell’alternare strategica ingenuità e opportunismo cinico; Valeria Golino, unica adulta che può essere punto di riferimento. Buone prove anche dai giovani (gli esordienti Gioli e Pinelli, come Giovanni Anzaldo, già visto in Razzabastarda), a cui viene affidata una traccia di speranza.

Interessante la struttura di Il Capitale Umano: si mostra  l’intera vicenda da tre punti di vista diversi, traendo poi le conclusioni. Ripetizione non noiosa che, anzi, aggiunge elementi, facendo scoprire pian piano chi sono davvero i personaggi e cosa sia realmente accaduto, mantenendo abbastanza la suspense.

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