La bottega dei suicidi: recensione del film di Patrice Leconte

La bottega dei suicidi

In La bottega dei suicidi in una città grigia e triste, in tempo di crisi, le persone hanno perso la gioia di vivere e per rendere più facile togliersi la vita si rivolgono ad un negozietto specializzato in suicidi. Il signor Tuvache, titolare della “Bottega dei Suicidi” fa affari d’oro e assieme alla moglie e ai due figli lavora instancabilmente giorno e notte. Ma l’arrivo di un nuovo figlioletto, dal carattere allegro e sereno, sconvolgerà la sua vita e quella degli affezionato clienti.

 

Patrice Leconte, originale e poetico regista di film come Il marito della parrucchiera e La ragazza sul ponte, abbandona momentaneamente gli attori in carne ed ossa per giocare con un colorato manipolo di ‘scarabocchi’ macabri, dando vita ad una famiglia che ricorda gli Addams e le illustrazioni di Edward Gorey. Nel suo primo film d’animazione Leconte lascia libera la fantasia e la sua ironia più nera, adattando il libro di Jean Teulè, pur rimaneggiandone in maniera, forse troppo ottimista, alcuni passaggi ed il finale.

La bottega dei suicidi, il film

La bottega dei suicidi

La storia di La bottega dei suicidi cattura, fin dai primi fotogrammi i personaggi sono ben descritti e caratterizzati, tanto da sembrare d’intravedere disegnati sullo schermo i personaggi che solitamente popolano l’immaginario cinematografico di Leconte. Lo stile è quello tipico del fumetto francese, con una città che sembra uscita dalle tavole di Nicolas De Crecy e atmosfere retrò degne dei film di Jeunet o di Chomet. Peccato per le musiche e per le canzoni di Florian Thouret, bellissime e accattivanti, non c’è che dire, ma troppo debitrici allo stile burtoniano di Danny Elfmann, tanto che in alcuni momenti la mente vaga verso Nightmare before Christmas. Una personalizzazione, o forse una “francesizzazione” in questo senso, avrebbe certamente reso perfetta tutta l’operazione.

L’animazione è bidimensionale, lontana per scelta dal 3D stile Pixar, ma funzionale ed evocatica, con texture di carta a grana grossa e campiture ad acquarello. Spettacolari in tal senso le occhiaie color seppia che inondano i volti degli angustiati aspiranti suicidi, anche se il lavoro digitale sui tratti e sui contorni toglie poi l’immediato senso di artigianalità che ci si aspetterebbe da tale tecnica.

La bottega dei suicidi è un film delizioso, particolare, poetico, macabro, cinico ed ironico, un film adatto a tutti, ma non per tutti, che difficilmente potrà essere apprezzato dal grosso pubblico, soprattutto dopo il divieto ai minori di diciotto anni che inspiegabilmente la commissione di censura ha deciso di assegnargli, per il timore che a qualcuno, soprattutto in tenera età, potesse venir voglia di togliersi la vita.

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