Delle tante ombre della paternità il cinema è pieno, mentre è solo di recente che si inizia ad esplorare in modo più convinto e convincente i lati sgradevoli della maternità. Soprattutto, a parlarne iniziano ad essere sempre di più le donne stesse, aggiungendo quella consapevolezza in più che gli è propria sul tema. È quello che fa anche Mary Bronstein con il film If I Had Legs I’d Kick You, presentato prima in concorso al Festival del Cinema di Berlino e poi in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma, dove lo abbiamo visto in anteprima in attesa dell’uscita nelle sale italiane.
L’idea per il film, generatasi a partire da esperienze personali e passato attraverso una lunga gestazione, offre infatti un posto privilegiato per assistere alla crisi e alle difficoltà di una madre costretta a fare i conti con difficoltà che si potrebbero definire sovrumane. Interpretata da Rose Byrne, premiata a Berlino per la sua performance, la protagonista è infatti chiamata a dimostrare un istinto materno spinto ai limiti del tollerabile per via dela malattia della figlia e la difficoltà nel gestirla. Ma c’è un momento in cui si può venire meno a tutto questo?
La trama di If I Had Legs I’d Kick You
Linda (Rose Byrne), una donna di mezza età, non sta attraversando un buon momento. Con il marito sempre in viaggio per lavoro e una figlia malata fin dalla nascita, Linda non trova conforto nel lavoro e non riceve alcun sostegno dal suo terapeuta. A causa di un danno alla sua casa, è poi costretta a trasferirsi con la figlia in un motel con breve preavviso, dove rischia di perdere definitivamente il contatto con la realtà.
Il lato oscuro della maternità
Si apre con una chiara dichiarazione d’intenti il film: un primo piano di Rose Byrne che esclude ogni cosa e ogni persona accanto a lei. Ma poi l’inquadratura si stringe, si stringe e si stringe ancora fino ad includere il solo dettagli degli occhi di lei. Un senso di chiusura, alienazione e anche claustrofobia che proseguire pressoché nel corso di tutto il film. Già da qui, dalla primissima inquadratura, la regista setta il tono, stabilisce l’emotività e il punto di vista della protagonista quali motori primari del racconto.
Da lì in avanti, infatti, se anche il film si aprirà ad includere gli altri personaggi che gravitano attorno a Linda – il suo terapista, la dottoressa della figlia, l’amichevole James – si avverte ugualmente una certa distanza tra lei e questi ultimi. Distanza che si può ritenere effetto del suo tentativo di chiedere aiuto, del suo cercare vie di fuga da una condizione che è diventata asfissiante. Tentativi che vengono però messi continuamente a tacere, minimizzati se non addirittura ignorati.
Ecco allora che If I Had Legs I’d Kick You affronta un altro aspetto raramente trattato al cinema, ovvero quello del “burnout del caregiver”. Quasi un tabù, che si sceglie di ignorare perché fare così risulta più semplice che accorgersi dei segnali di aiuto. Nell’isolamento che progressivamente avvolge Linda, si ritrova dunque il grido disperato di un’intera categoria, rappresentata in questo caso da una madre sfinita, che si chiede se può esserci una pausa da questo ruolo che la natura le ha donato.
Rose Byrne impreziosisce un film altrimenti didascalico
If I Had Legs I’d Kick You si articola dunque interamente attorno a questi concetti, con Bronstein che attua una serie di scelte di regie volte ad amplificarne la portata, dalla pressoché totale esclusione della figlia e del marito – confinati oltre l’inquadratura – fino al cambio di registro – dallo humor all’horror. Si ha però la sensazione a più riprese di un eccessivo didascalismo in alcuni espedienti narrativi, a partire dal buco nel soffitto che si apre nella casa della protagonista e che la costringe a soggiornare in un motel.
Un buco che fin troppo evidentemente esteriorizza quello che lei sente dentro di sé, che pensava la maternità avrebbe tappato e che invece ha solo accentuato. Una vera e propria ferita nella casa che ricorda quella proposta da Darren Aronofsky in Madre!, ma che qui risulta appunto poco più di un calcare la mano sul tema. Fortunatamente, l’intensa e sofferente interpretazione di Rose Byrne distoglie l’attenzione da questi intoppi, rapendo l’attenzione (grazie anche ai primissimi piani che le vengono riservati) e impreziosendo l’intero racconto.
Un racconto che indubbiamente lascia più di qualche ferita nello spettatore, specialmente se può avere modo di ritrovarsi in dinamiche anche solo lontanamente simili a quelle della protagonista. Il monito è però in fin dei conti quello di essere più ricettivi nei confronti dei segnali d’aiuto di chi ci sta intorno, spingendoci però anche a riflettere su quanto sia difficile salvarsi se non lo si fa da sé. Un messaggio probabilmente non immediatamente rincuorante, ma che mira ad esaltare la forza individuale e nel finale apre ad uno spiraglio di speranza.
If I Had Legs I'd Kick You
Sommario
Con If I Had Legs I’d Kick You, Mary Bronstein esplora il lato oscuro e taciuto della maternità, tra senso di colpa, isolamento e burnout emotivo. Rose Byrne offre una performance intensa e straziante nei panni di una madre sull’orlo del crollo, dando voce a un dolore spesso invisibile. Un film duro e necessario, che trova nella fragilità la sua più autentica forza.

