Rio 2096 – Una storia d’amore e furia: recensione del film

L’animazione non è più roba per bambini, e questo Luiz Bolognesi lo sa bene. Discostandosi volutamente dall’edulcorato stile dello studio Ghibli ed abbracciando con intelligenza una grafica pura da videogame, il regista brasiliano realizza Rio 2096 – Una storia d’amore e furia, una stupenda e sincera epopea storico-ambientalista degna di John Miluis, ricostruendo in maniera favolistica e al contempo credibile la storia di un popolo che da sempre convive con violenza e soprusi, tracciandone un ritratto che pur nel suo design animato non ha nulla da invidiare al più concreto dei live action. Storia, leggenda e consapevolezza critica si sposano alla perfezione con un un’animazione che incanta e immerge lo spettatore in una cacofonia di ambienti raffinati che accompagnano una narrazione semplice ma mai banale, riuscendo nell’impresa di catturare l’attenzione di grandi e piccini. Una ricostruzione storica fedele che fa trasparire tutto l’amore dei suoi creatori, senza disegnare numerosi riferimenti metacinematografici, partendo da Boorman de La foresta di smeraldo e giungendo allo stile cyberpunk di Blade Runner e ai paesaggi di Avatar, in un epilogo utopico e disfattista che spaventa per la sua verosimiglianza.

 

In Rio 2096 – Una storia d’amore e furia nel Brasile a metà del XVI° secolo Abeguar è un guerriero degli indios Tupinambas che si trova a dover difendere il suo popolo dai colonizzatori. Dopo essersi miracolosamente incarnato in un uccello per seguire una missione divina, il giovane attraversa i secoli incarnandosi ogni volta in un essere umano capace di guidare il suo popolo contro la tirannia, passando dalla schiavitù di fine ‘800 alle rivolte studentesche del ’68 contro il regime dittatoriale, fino a giungere ad una futuristica battaglia nel 2096 contro le multinazionali divenute padroni delle poche risorse idriche disponibili.

Rio 2096 – Una storia d’amore e furia, il film

L’acqua è il tema ricorrente di Rio 2096 – Una storia d’amore e furia, fonte di vita ma anche ultimo dono prezioso per il quale un intero paese si trova a dover combattere, in una Rio De Janeiro convertita a città della modernità dove i poveri continuano a morire e a soffrire. Molto poetico e per nulla melenso appare il tema della reincarnazione, forza ancestrale che permette al giovane guerriero Abeguar di sfondare la barriera del tempo ed elevarsi a paladino della giustizia e del bene, incarnando forse in maniera subliminale la figura del Redentore e del Salvatore. Non potendo usufruire di un budget sufficiente a trasportare nel mondo reale questa splendida epopea visiva, Bolognesi e il suo staff hanno deciso di ricorrere ad una grafica pulita ed essenziale, che colpisce per la sua accuratezza e professionalità, grazie anche alle voci di alcuni dei migliori attori brasiliani in circolazione, come Selton Mello e Camilla Pitanga (Dario Oppido e Barbara De Bortoli nella versione italiana). Un racconto avvincente, sincero e appassionate, un grande respiro per il cuore e gli occhi, un piccolo gioiellino che ci porta a ragionare sul passato, presente e futuro di un paese che oggi pare più che mai dimenticato.

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