Basta da solo l’aggettivo “perturbante” – troppo spesso abusato – per descrivere coerentemente e con il meritato rispetto il capolavoro d’esordio di Robert Eggers, salutato giustamente con ovazioni e un meritatissimo premio alla miglior regia al Sundance Film Festival 2015. The Witch, precoce fenomeno di culto e già insignito del titolo di miglior horror sovrannaturale dell’ultimo decennio, si presenta come un prodotto distante anni luce da qualunque cosa definibile con le etichette di “genere” e “d’autore”, riuscendo magicamente a coniugarle entrambe in un racconto in costume ambientato agli albori della colonizzazione inglese del Nuovo Mondo, dove le atmosfere malsane e disturbanti si devono per lo più a tre componenti essenziali: una regia ipnotica e rarefatta supportata da uno ritmo teso e fluente, un plot terrificante nella sua semplicità e una magistrale interpretazione corale di soli cinque attori, su cui troneggia la virginale sorpresa Anya Taylor-Joy.

 

The Witch nel 1630 i coniugi William e Katherine vengono espulsi assieme ai loro cinque figli dalla colonia puritana in cui risiedono perché considerati troppo integralisti. Decisi a ricominciare una nuova vita all’insegna del lavoro e della preghiera al confine di un’oscura foresta, ben presto dovranno fare i conti con strani e inquietanti avvenimenti. Sam, il neonato affidato alla figlia maggiore Thomasin scompare nel nulla, mentre il mezzano William, dopo un misterioso incontro nel mezzo della selva inizia a dare segni di una presunta possessione divina, il tutto mentre i due gemellini Jonas e Mary stringono una morbosa amicizia con un capretto. Gli animali e il raccolto iniziano misteriosamente a morire, un senso di disperazione avvolge la piccola comunità come un sudario e William inizia a sospettare che, forse, dietro a tutto ciò possa celarsi il Diavolo in persona.

The Witch: il trailer ufficiale italiano

Eggers decide di battezzare il suo stile filmico con quell’attenzione verso i racconti neri della fondazione americana già ben presenti nei suoi due cortometraggi precedenti, scegliendo di ispirarsi ai registri inquisitori della vera caccia alle streghe inflitta ai Padri Pellegrini del XVII secolo e di usare estratti di autentiche testimonianze messi in bocca ai personaggi attraverso un inglese arcaico e suggestivo (apprezzabile purtroppo solo nella versione in lingua originale). Niente viene mai veramente mostrato o spiegato, ma quel poco che s’intravede fra le pieghe oscure della fotografia brumosa di Jarin Blaschke è davvero degno di inquietare e di far gelare il sangue. Qualcosa si aggira nell’ombra e un male antico sembra impossessarsi di ciascuno come una malattia virulenta da cui solo la giovane Thomasin sembra essere immune. Stregoneria? Satanismo? Oppure semplice autosuggestione prodotta dal fanatismo religioso? Nessuna vera certezza può spiegare quello accade alla spaurita famigliola, nemmeno il surreale e lisergico epilogo che rende The Witch ancora più criptico e affascinante di quanto non sia già.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
the-witch-recensioneStregoneria? Satanismo? Oppure semplice autosuggestione prodotta dal fanatismo religioso? Nessuna vera certezza può spiegare quello accade alla spaurita famigliola, nemmeno il surreale e lisergico epilogo che rende The Witch ancora più criptico e affascinante di quanto non sia già.