Tutto sua madre recensione 2 La vita di Guillaume si basa su un grosso equivoco: tutti, a partire dalla sua famiglia, lo trattano da sempre come una donna. Da ragazzo, egli è convinto di esserlo, perciò imita il modello di donna a lui più vicino: sua madre. Nella ricerca della propria identità, passerà attraverso varie fasi, finché l’amore per una ragazza non lo porterà a una nuova consapevolezza di sé.

 

Tutto sua madre (il titolo originale, Les garçons et Guillaume a table!, I ragazzi e Guillaume a tavola!, riprende una delle frasi che più hanno condizionato l’esistenza di Guillaume, pronunciata regolarmente da sua madre, e sottolinea l’autoironia del progetto) è l’esordio autobiografico di Guillaume Gallienne – attore prima teatrale, poi anche cinematografico – dietro la macchina da presa. Il film è stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs ottenendo il riconoscimento più importante, l’Art Cinéma Award.

Tutto sua madre recensioneSuccesso meritato, dal momento che il lavoro, il cui punto di partenza (il rovesciamento del tema dell’omosessualità e della sua accettazione) è originale e interessante, non si limita però solo a questo. La sua forza maggiore risiede nella capacità del regista, sceneggiatore, protagonista di guardare alla propria storia personale con leggerezza e ironia, riuscendo a ridere e a far ridere riguardo a qualcosa che ha segnato profondamente tutta la sua esistenza ed è stato anche un dramma esistenziale, trasformandolo in una rutilante e variopinta sfilata di personaggi, in parte surreali.

La pellicola è brillante e ben recitata da Gallienne, protagonista nei panni di sé stesso, di sua madre, e di varie altre figure, soprattutto femminili: uno straordinario trasformista che ama il travestitismo e se ne va a spasso di epoca in epoca, oltre che in situazioni e paesi diversi, alternando la commedia alla farsa. L’intento dichiarato è di recuperare l’atmosfera della commedia classica alla Billy Wilder e vi si avvicina in più di un’occasione, anche grazie a tempi comici perfetti.

Notevole è poi l’accuratezza con cui il regista scruta i volti, a cominciare dal suo, registra il modificarsi degli stati d’animo in uno sguardo, osserva attentamente i gesti, il modo di parlare. Ciò gli permette di dare complessità alla figura del protagonista, di creare con pochi elementi situazioni di grande  forza comica e passare facilmente dalla commedia al dramma, dalla farsa a momenti seri e commoventi nel delineare il rapporto conflittuale di un figlio remissivo con una madre fredda e autoritaria. Le caratterizzazioni offerte dal resto del cast sono pure efficaci – il padre di Guillaume (André Marcon), la nonna (Françoise Fabian), ma anche i vari medici, psichiatri e psicologi che il protagonista incontra nel suo percorso sono spassosi.

Il lavoro nasce in teatro e l’impronta teatrale resta nel film, ma non lede le specificità del genere.

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