Il cuore grande delle ragazze: recensione del film di Pupi Avati

Il cuore grande delle ragazze

In Il cuore grande delle ragazze siamo negli anni ’30, in un’imprecisato villaggio di campagna, nei pressi di Fermo, ma potremmo essere in qualunque luogo dove esistevano villaggio in quegli anni. Gli Osti, proprietari terrieri benestanti, hanno fatto un patto con i loro fattori: il figlio dei contadini, Carlino, deve sposare una delle due figlie naturali dell’Osti, così da garantire la casa nelle terre dei padroni nell’utilizzo della terra a tutta la famiglia.

Dopo un mese di corteggiamento, Carlino cade vittima del caso: Francesca, figlia adottiva dell’Osti torna dalla città, dov’era stata mandata a studiare, e incrociatasi un attimo con Carlino, lo fa innamorare di lei. Anche la ragazza ricambia subito il suo amore, anche grazie alla particolare profumazione dell’alito di Carlino, che sa di biancospino e che ha già fatto vittime quasi tutte le ragazze del villaggio. I due, provocando le ire e le maledizioni di entrambe le famiglie, nonché la morte per crepacuore del padre di Carlino (un ottimo Andrea Roncato), riescono a sposarsi arrivando dopo molte peripezie all’attesa prima notte di nozze.

Il cuore grande delle ragazze, il film

Pupi Avati porta sullo schermo la storia d’amore dei suoi nonni, avvolgendola di un tono fiabesco ed innocente che riesce a compensare i piccoli difetti della pellicola. Il grande cuore delle ragazze è quindi secondo Avati, la grande capacità che avevano le donne una volta di perdonare e di amare, la grande pazienza che oggi sembra invece non esister più. Carlino e Francesca sono interpretati da Micaela Ramazzotti, sempre più o meno calata nello stesso ruolo, fatta eccezione per il dialetto romanesco che le viene concesso questa volta con divertenti effetti comici, e Cesare Cremonini, il cantautore italiano per la prima volta sullo schermo. Il giovane Cesare sembra entrare a pennello nei panni di Carlino, anche perché il suo personaggio è un po’ scemotto, nonostante il suo grande appeal sulle donne, e il cantante bolognese, complice forse la soggezione che aveva sul set in fase di ripresa, sembra un po’ un bambino sperduto senza mai la cognizione di quello che gli sta succedendo.

Il cuore grande delle ragazze risulta molto gradevole, anche se forse un po’ sbilanciato a causa di un registro che sembra voler essere sempre leggero, ma che con un paio di cadute verticali non esita a sfociare nel dramma più assurdo, quasi da sceneggiata, precipitando la storia improvvisamente. Per il resto i personaggi di contorno fanno il resto, contribuendo a realizzare un affresco completo, allegro e nostalgico di un tempo che fu. Attingendo a piene mani dalla sua biografia, Pupi Avati sembra voler regalare un affresco personale di un’epoca, per celebrare i suoi nonni e la nascita della sua famiglia.

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