Il cavallo non è un’animale come gli altri: c’è qualcosa nel suo sguardo, un’umanità latente illuminata da sprazzi di sensibilità e fierezza, capace di creare una connessione coi nostri pensieri più profondi rivelando uno spirito misterioso e inquieto.
La scelta dello scrittore Michael Morburgo di raccontare la Grande Guerra abbracciando il punto di vista di un cavallo sembra perciò coerente e appropriata: conosciuto in Italia soprattutto grazie all’omonimo film di Steven Spielberg, War Horse calca le scene di Broadway e del West End sin dal 2007, assecondando i sentimenti universali e pur zuccherini dell’opera originale nella potente visione dell’adattamento di Nick Stafford.
Per risolvere l’ovvia impossibilità di disporre di veri cavalli la produzione ha scelto di rinunciare a più scontati animatronics puntando sulla meraviglia di una messa in scena artigianale: maestose marionette in scala reale, frutto del lavoro delle maestranze della South Africa Handspring Puppet Company, arrivano al galoppo guidate da 3 artisti vestiti in abiti d’epoca, sempre presenti sul palco e pur assorbiti dall’anima impetuosa delle loro creature e dall’incedere di un Conflitto che condanna tutti gli uomini, qualunque sia la loro nazionalità ed estrazione, a svanire sul campo di battaglia.

Come le ballate che accompagnano i momenti più toccanti del dramma di Joey, War Horse vive nella suggestione malinconica e straziante che solo il teatro può permettersi di offrire: la magia di una corsa in un campo aperto, con le foglie che si alzano intorno e il vento che ci scompiglia i capelli, pronta a portarci lì dove tutti i nostri sogni di bambino rimangono e aspettano, fiduciosi che immaginazione e speranza ci aiutino a ritrovare la strada.

