Se Benny Safdie e Dwayne “The Rock” Johnson sbarcano al Lido per presentare The Smashing Machine in concorso alla Mostra di Venezia 82, l’alta aspettativa è giustificata. Da un lato, il regista newyorkese che con il fratello ha firmato i ruvidi Good Time e Uncut Gems, dall’altro la star globale per eccellenza, qui pronta a spogliarsi del suo carisma granitico per affrontare una sfida inedita: incarnare le fragilità interiori di un uomo apparentemente invincibile. L’uomo in questione è Mark Kerr, leggenda delle arti marziali miste e volto iconico della UFC negli anni Novanta, conosciuto come “The Smashing Machine”.
Al netto della potenza del titolo e della grandezza dei nomi coinvolti, il film che arriva in Concorso a Venezia 82 non è l’opera radicale che ci si poteva attendere da Safdie. Piuttosto, una biografia dall’impianto classico, che procede ordinata nel raccontare la parabola di un gigante dai piedi d’argilla.
Dietro la maschera del combattente
Il film segue Kerr dalla sua ascesa nell’Ultimate Fighting Championship attraversando il lento sgretolarsi della sua vita personale, segnata da dipendenze, insicurezze e una relazione tumultuosa con Dawn Staples, interpretata con generosa intensità da Emily Blunt. La struttura è inedita per un film sportivo: l’ascesa, la gloria, il crollo, la ricerca di redenzione sono le tappe tradizionali che vengono mescolate e in cui la “gloria” finale è rappresentata dalla normalizzazione e dall’accettazione della sconfitta. Safdie non reinventa la formula ma la accompagna con la sua consueta attenzione al dettaglio umano.

Il cuore del film non è il ring. The Smashing Machine non è un film sportivo in senso stretto, ma un dramma intimista che scava nelle contraddizioni di Kerr: il colosso indistruttibile che all’esterno incarna la violenza e il dominio, e l’uomo emotivamente vulnerabile che dentro fatica a reggere il peso di se stesso. Johnson abbandona i tic della star action, si lascia andare a momenti di silenzio, di smarrimento, di rabbia compressa. È la sua interpretazione più coraggiosa, chiaramente costruita per misurarsi con la prossima season award.
Il progetto, raccontano Safdie e i protagonisti, nasce dal desiderio di un’immersione empatica totale. “Cosa vuol dire davvero essere Mark Kerr? Cosa significa essere Dawn Staples?”: sono queste le domande che hanno guidato la costruzione del film. Non sorprende quindi che Emily Blunt sia il vero contrappunto narrativo alla forza bruta di Johnson. Nei panni di Dawn, la compagna divisa tra amore e autodistruzione, Blunt regala una performance densa di esitazioni e di sfumature, capace di illuminare le crepe di un rapporto tanto intenso quanto tossico.
Safdie costruisce un racconto che cerca di farci entrare nei corpi e nelle anime dei protagonisti. E in parte ci riesce: il film non si limita a celebrare l’eroe sportivo, ma ci ricorda che anche i “superuomini” sanguinano, che dietro l’immagine titanica c’è una persona fragile, spesso smarrita. Il problema è che questo approccio, pur sincero, resta incorniciato in una forma narrativa troppo ordinaria, che non osa abbastanza.
Vedere Safdie confrontarsi con un biopic così tradizionale lascia un retrogusto strano. Dopo i suoi lavori precedenti, The Smashing Machine appare lineare, a tratti scolastico. Non manca l’intensità delle interpretazioni, ma non c’è la scintilla stilistica che ci si aspettava: niente di quella regia ansiogena che incolla alla poltrona, niente di quel montaggio vertiginoso che trasforma il caos in energia pura. Tutto scorre in modo composto.
The Smashing Machine è un film solido ma non memorabile
Certo, il tema è potente: Mark Kerr come metafora vivente della contraddizione tra forza e vulnerabilità, tra spettacolo e dolore privato. Eppure il film sembra accontentarsi di illustrare questa contraddizione, senza spingerla oltre, senza rischiare davvero. Una scelta comprensibile, forse dettata anche dall’ambizione di parlare a un pubblico ampio, ma che rende l’opera meno incisiva di quanto promettesse.
The Smashing Machine resta un’opera solida, sorretta da due interpretazioni magnetiche e da un’idea di fondo che invita a guardare dietro le maschere della forza fisica. Il film però, pur avendo tutte le carte in regola, non diventa mai quella macchina narrativa che ti travolge e ti lascia senza fiato.
The Smashing Machine
Sommario
The Smashing Machine resta un’opera solida, sorretta da due interpretazioni magnetiche e da un’idea di fondo che invita a guardare dietro le maschere della forza fisica.