Gennaro si ritrova su
di un’isola molto particolare, in cui uomini in divisa vagano senza
memoria sotto il controllo di uno strano staff. Manicomio? Carcere?
In realtà è il luogo in cui le anime, senza memoria, attendono di
nascere, gestite da una multinazionale aliena. Quel che è certo è
che Gennaro sconvolge l’ordine vigente con l’unica arma in suo
possesso: la semplicità.
Il secondo capitolo di Luciano Capponi sull’aldilà si ispira al netturbino di origini napoletane di Totò ne La livella ma la sceneggiatura che l’autore propone è una favola complessa e articolata tra i sentimenti umani e quello che le anime vivono e provano in questo limbo, fatto di ostacoli e avversità proposte da questi alieni che odiano gli esseri umani. La storia si contraddistingue per la sua ricchezza di maschere e personaggi vicini alla commedia dell’arte, che nel loro porsi, rappresentano i vizi e i problemi della nostra modernità. L’azione narrativa si articola sul punto di vista di Gennaro (Patrick Oliva) e il suo modo semplice e naturale di accettare questa morte e quella dei suoi compagni, manipolati e classificati in stereotipi contemporanei. Ciò che il film non riesce a trasmettere in tutta questa complessa allegoria è la sospensione e l’illusione di quello che viene visto. Lo spettatore rimane fin troppo cosciente nell’apprendere questa dimensione ultraterrena, non accettando sempre il compromesso che il regista ci propone e muovendo dubbi e critiche sull’ingenuità che molto spesso Gennaro commette nelle scelte che gli capitano.

Il Flauto è un film con delle chiare metafore sulla società moderna e i valori che ha perso con il suo evolversi e mutarsi, ma questo non è sufficiente ad ammaliare lo spettatore in questa sospensione temporale mancando così l’appuntamento per spingersi a riflettere di più sulle emozioni essenziali, molto spesso sfuggenti e effimere.
Dal 17 Ottobre al cinema.

