La Principessa Mononoke: recensione del film

La Principessa Mononoke

La recensione del film d’animazione La Principessa Mononoke del maestro dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki.

 

altSinossi: Il giovane Ashitaka, principe Emishi, per difendere il proprio popolo da un demone-cinghiale di nome Nago comparso sul suo territorio, lo affronta e lo uccide, uscendo tuttavia ferito dal combattimento. La ferita del demone abbatte sul principe una maledizione che lo condanna a morte certa, e così Ashitaka decide di abbandonare il villaggio per la salvaguardia dei suoi cittadini e per scoprire le origini del demone. Durante il viaggio, Ashitaka incontra San, una ragazza cresciuta con i lupi e chiamata La Principessa Mononoke. Il principe scoprirà molto presto che l’intera foresta in cui San vive con i lupi, con le scimmie e con il bellissimo Dio della Foresta è in lotta da tempo con la Città del Ferro e con la sua padrona Eboshi, colpevoli di perpetrare lo sfruttamento di alberi e di materie prime, indebolendo in questo modo la foresta stessa.

Ashitaka scoprirà anche che il demone Nago, da lui ucciso, era un Dio tramutato in demone dalla ferita di un proiettile, sparato proprio da Eboshi. La Città del Ferro, alleatasi con gli emissari imperiali, si prepara ad abbattere per sempre il popolo della foresta, tentando di ucciderne il Dio. Ashitaka si troverà coinvolto nella guerra, sperando di riuscire a mediare le varie posizioni e schierandosi infine al fianco di San, di cui si è innamorato. Un altro capolavoro di Miyazaki, rovinato – in parte – dal doppiaggio italiano.

La Principessa MononokeAnalisi: Ogni opera di Miyazaki andrebbe vista con la dovuta preparazione: bisogna prepararsi prima di immergersi in un mondo che ha poco a che fare con le nostre idee di ‘cartone animato’ e di ‘favola’, ma che non può fare a meno di coinvolgerci e trascinarci con sé. ‘Mononoke-hime’ debutta in Giappone il 12 luglio 1997 ed è  immediatamente un successo di pubblico, al punto da essere trasmesso e ri-trasmesso nelle sale cinematografiche e da essere tuttora il secondo film più visto di sempre in terra nipponica (dopo ‘Titanic’). Nel 1998 venne scelto come film rappresentante del Giappone per la candidatura all’Oscar per il miglior film straniero, senza arrivare tuttavia alla fase finale. Nonostante il grande consenso ottenuto dal film in Giappone, in Italia La Principessa Mononoke arriva solo il 19 maggio 2000, grazie alla distribuzione della Buena Vista Pictures (come è possibile immaginare, il film fu comunque distribuito in pochissime sale). Non c’è dubbio che gli amanti del genere e di Miyazaki si siano precipitati a vederlo; il più grande rimpianto sta nel non riuscire a fare arrivare questi capolavori al grande pubblico.

La Principessa Mononoke: recensione del film

La storia de La Principessa Mononoke è ambientata nel periodo Muromachi (1392-1573), un’era considerata rinomatamente di transizione verso i primi bagliori dell’epoca moderna. Umani e dei al tempo coesistevano, insieme ai demoni, ma il periodo era caotico e confuso, privo di punti di riferimento. Miyazaki sceglie l’epoca Muromachi proprio con l’intento di creare un’atmosfera simile a quella che si respirava nel 1997, il tramonto del ventunesimo secolo, un’altra fase di transizione, anche se in altri luoghi e in altri tempi. Eppure le tematiche affrontate – quelle care al regista giapponese – sono più che mai attuali: la distruzione della natura ad opera di popoli ambiziosi, egoisti e senza scrupoli; le guerre, difficilmente utili, che popolano l’intero pianeta; l’amicizia e l’amore. La morale, in fondo, è facile da capire: l’uomo e la natura dovrebbero serenamente coesistere e bisognerebbe imparare a costruire, più che precipitarsi a distruggere. Ma c’è di più: se il mondo va a rotoli, non è detto che non esista una ragione per viverci ugualmente. Ashitaka era un condannato a morte, spinto solo dall’amore per il suo popolo e da una vana speranza di guarigione, eppure rinasce grazie a San. La voglia di proteggerla e di liberarla, nello stesso tempo, dalla condanna di una vita infelice (né donna né lupo, come spiega bene Moro) lo rendono un uomo se possibile più coraggioso, più valoroso e più assennato. Come direbbe il principe Emishi, “vedere cosa accade con occhi non velati dall’odio” ti dà una visione del tutto diversa delle azioni che si compiono. Eboshi, l’arrogante padrona della Città di Ferro, non riesce a liberarsi dalla sua avidità, nemmeno alla fine, come il doppiaggio italiano ci fa erroneamente dedurre. E su questo bisogna inevitabilmente puntare il dito contro la distribuzione italiana, che spesso pensando di far bene commette solo un terribile danno che colpisce tanto il regista quanto lo spettatore. Quando Eboshi dichiara “Oggi ho capito che la foresta è sacra e nessuno ha il diritto di profanarla”, in realtà nella versione giapponese esclamava un ben meno ‘pentito’ “Io ci rinuncio, non posso vincere contro gli stupidi”. Il finale lascia la porta aperta all’immaginazione o, se si vuole essere più precisi, ad un futuro inesplorato. Miyazaki sottolinea che la natura umana non è perfetta, che spesso l’amore incontra difficoltà insormontabili e spesso non ci si pente del male commesso, anche se ha portato solo distruzione. In fin dei conti, però, si va avanti lo stesso, senza un lieto-fine eclatante, ma con piccoli spiragli di luce. A dimostrazione che il mondo si sposta a passi infinitesimali e all’uomo basta poco per vivere il tempo che ha a disposizione il più felicemente possibile.

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