Regia: Martin Villeneuve
Cast: Jacques Languirand, Caroline Dhavernas, Paul Ahmarani, Robert Lepage, Stéphane Demers
Trama: In un mondo futuro all’alba del XXX° secolo, dove natura,scienza,musica e magia si trovano in perfetta simbiosi, l’anziano musicista Jacob Obus (Jaques Languirand) è una delle personalità più celebri e discusse del suo tempo. Egli è in grado di creare strabilianti melodie attraverso strumenti antropomorfi progettati dal fido compagno Arthr (Paul Ahmarani) e realizzati da Eugene, padre del ragazzo a metà strada fra un uomo e un ologramma. Sullo sfondo del primo viaggio dell’uomo dalla Luna a Marte, l’arrivo improvviso della giovane fotografa April (Caroline Davhetnas), mette in competizione Jacob e Arthir, fino a portarli alle soglie dell’immaginazione, in un universo dove tutto, anche i pianeti, si esprimono attraverso la musica.
Analisi: La fantascienza è
forse l’unico genere narrativo in cui chiunque può dar sfogo alle
proprie fantasie, un terreno a metà strada fra il sogno e una
realtà anch’essa simulacro di un qualcosa che nessuno saprà mai
identificare con certezza. Sembra proprio aver imparato la lezione
il giovane Martin Villeneuve (fratello minore del più
celebre Denis, autore de La ragazza che
canta), regista canadese che con questa sua opera crea un
universo talmente visionario ed estremo che pare un libro di fiabe
trasportato su celluloide, dove un universo di strabilianti
personaggi e ambienti pirotecnici creano una bulimia visiva tale da
estasiare l’ignaro spettatore, il quale finisce col perdersi nella
bellezza della visione come in un labirinto di luci e colori,
mentre gli occhi si imbevono, inquadratura dopo inquadratura, di
una realtà caotica e ridondante. Ci si potrebbe fermare ore solo a
spulciare i singoli frames, nel tentativo di ricostruire la
bizzarra flora e fauna che adornano questo fantastico mondo. Come
in un cortocircuito metanarrativo, il film si dipana attraverso
universi da sogno, resi grazie ad una bellissima fotografia che
occhieggia alla graphic novel
(riprendendo fedelmente l’opera omonima illustrata dello stesso
regista) e sa dosare con sapienza gli ottimi effetti speciali
creati ad hoc dal celebre Carlos Monzon di
Avatar, tirato in causa per creare i bellissimi
ambienti ibridi tra un universo liquido e gassoso. La storia,
seppur con qualche ricaduta adolescenziale (senza per latro
nascondere il target di pubblico a cui aspira) finisce per essere
molto più complessa di come appaia, un’opera transmediale che tira
in ballo le teorie cosmologiche di Keplero, l’armonia musicale
dell’universo e una sana dose di filosofia orientale riguardo al
ruolo della simbiosi dell’anima., senza disdegnare nemmeno un
simpatico riferimento alle teorie cospirative dei viaggi spaziali
(qui riguardati Marte, come in un futuristico Capricorn
One). Molti sono i riferimenti al cinema delle origini,
primo fra tutti al grande Geroge Meliés, padre del cinema di
finzione e primo grande visionario, a metà fra un regista ed un
illusionista. Ed in effetti il film pare essere un inno
all’immaginazione e alla fantasia, così come dimostrano gli strabi
ed affascinati strumenti musicali di forme umane che vengono
suonati da Jacob, modellati sulla base di modelle che prestano il
loro corpo come fosse una cassa armonica. Il cast comprende alcuni
nomi per di più sconosciti al grande pubblico, ma ben rodati nel
circuito di nicchia, come quello di Jaques Languirand,
celebre scrittore e commediografo canadese qui prestato ai panni
del timido Obus, per non parlare di Paul Ahmarani, famoso
caratterista che qui impersona il futuristico nerd Artur,
personaggio ambiguo e inafferrabile (così come d’altronde tutti i
personaggi appaiono dotati di una psicologia muntevelo ed appena
abbozzata, impenetrabile e disorientante). Il volto forse più noto
è sicuramente quello di Caroline Dhavernas (la dottoressa
Lily Brenner della serie Off the Map), qui
chiamata ad impersonare la romantica e camaleontica Avril, ragazza
fragile e capace di un amore immenso, tanto da non poter essere
contenuto in una sola persona. La grande prova a cui Villeneuve
viene chiamato ha dell’incredibile: girare un film progettato per
un budget di 30 milioni di dollari con meno della metà dei fondi
disponibili, impiegando più di sette anni per realizzare un
progetto che definire visionario è dir poco. Un’opera fortemente
stratificata, ricca di suggestioni e di livelli interpretativi che
possono essere apprezzati visione dopo visione, come il piacere che
prova un bambino nel rileggere di nuovo il suo libro preferito o
nel guardare più a fondo un magnifico disegno.