Cinque secondi: recensione del film di Paolo Virzì, tra consapevolezza e possibilità di rinascita – #RoFF20

Il film è stato presentato alla Festa di Roma 2025.

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Con Cinque secondi, Paolo Virzì torna a raccontare l’Italia contemporanea attraverso la lente che gli è più congeniale: quella dell’intimità emotiva e della trasformazione umana. Dopo gli affreschi corali e le commedie agrodolci che hanno definito la sua poetica, il regista livornese sceglie una storia più raccolta, immersa in un paesaggio rurale che diventa metafora della rinascita, della possibilità di rimettere radici dopo un lungo inverno dell’anima.

Il film si apre tra le rovine di Villa Guelfi, una dimora nobile ormai abbandonata, dove il burbero Adriano (un intenso Valerio Mastandrea) ha scelto di isolarsi dal mondo. Vive in una stalla ristrutturata, fuma mezzo-toscano e coltiva la propria misantropia come fosse l’ultimo lusso rimasto. È un uomo chiuso, segnato da un passato che si intuisce tragico, circondato da oggetti che non significano più nulla.

Tutto cambia quando un gruppo di ragazze e ragazzi, studenti, agronomi e idealisti, occupa abusivamente la villa per riportare in vita i vigneti dimenticati. Tra loro c’è Matilde (una luminosa Galatea Bellugi), cresciuta in quei luoghi, nipote del defunto conte Guelfo. Il contrasto iniziale tra Adriano e i giovani — che lui percepisce come un’invasione nel proprio silenzio — si trasforma lentamente in un fragile equilibrio di convivenza. Ed è proprio questa metafora tra l’uomo e la terra che il film trova la sua verità più profonda: il gesto agricolo come atto di cura e rinascita, una semina simbolica che coincide con il rifiorire interiore del protagonista.

Solitudine, comunità e la terra come metafora

Così, in Cinque secondi convivono due dimensioni complementari: il dramma della solitudine e il ritmo ciclico della natura, che diventa specchio dell’animo umano. La scrittura di Virzì, solida e calibrata, costruisce un racconto in cui la terra stessa sembra respirare con i personaggi. Le stagioni scorrono, i campi si trasformano, i grappoli maturano: è un tempo naturale che contrasta con quello interiore di Adriano, immobile e contratto.

Crediti Antonello&Montesi

La metafora agricola della rinascita attraversa tutto il film. La villa decadente si fa corpo ferito da curare, il terreno abbandonato diventa simbolo di una speranza che, pur se faticosa, può rifiorire. Il lavoro dei giovani agricoltori, pur rappresentato con qualche ingenuità, agisce come un detonatore: costringe il protagonista a sporcarsi le mani, a riattivare un contatto con la materia, con la vita.

Eppure, Virzì non si lascia sedurre dalla retorica della “campagna che salva”. Al contrario, ne mette in luce la ambiguità: i ragazzi che si dedicano alla terra appaiono spesso più mossi dal bisogno di dare un senso alle proprie vite precarie che da una reale conoscenza di quel mondo. Il regista tratteggia con ironia le loro utopie ecologiste, e in questo scarto si avverte la sua cifra più sottile: la consapevolezza che la rinascita, come la coltivazione, è sempre un processo imperfetto, pieno di errori, ma proprio per questo autentico.

In questo equilibrio fragile tra realismo e allegoria, Cinque secondi diventa un racconto di metamorfosi. Il vigneto che torna a vivere è lo stesso terreno interiore che Adriano dissoda, lentamente, attraverso la presenza di Matilde e il contatto con quella giovinezza che può tornare a proteggere e accudire.

Mastandrea e Bellugi tra ferite e germogli

Come spesso accade nel cinema di Virzì, la profondità del racconto passa attraverso i volti dei suoi interpreti. Valerio Mastandrea è straordinario nel dare corpo a un personaggio che comunica più con i silenzi che con le parole. Il suo Adriano è un uomo che ha smesso di attendere, prigioniero di un dolore che non viene mai spiegato del tutto ma che si intuisce in ogni sguardo. Mastandrea lo interpreta con un minimalismo magnetico, fatto di piccoli gesti, posture chiuse, improvvisi scarti di dolcezza.

Accanto a lui, Galatea Bellugi dona al film la sua grazia naturale, una presenza che incarna la speranza senza mai cadere nel sentimentalismo. Matilde non è soltanto la giovane che riporta la vita nella villa, ma la rappresentazione stessa di quella forza vitale che resiste nonostante tutto. È l’aratro che scava e prepara la terra, inconsapevole del proprio potere rigenerante.

Nel cast brilla anche Valeria Bruni Tedeschi, che con poche ma intense scene aggiunge profondità emotiva al racconto. La sua presenza restituisce al film la dimensione del passato che non può essere dimenticato ma che va affrontato: è le che insiste parlando con Adriano, dicendogli: “Racconta la tua storia”. 

Cinque Secondi è un film maturo, catartico e profondamente umano

Nel suo insieme, Cinque secondi è un film maturo e catartico, costruito con equilibrio tra scrittura e sentimento. Virzì non cerca il colpo di scena, ma la trasformazione silenziosa, quella che avviene dentro le persone e non davanti allo spettatore. È forse troppo prudente in alcuni passaggi, come se temesse di spingersi oltre la soglia dell’intimo per non perdere il controllo del racconto. Ma questa misura diventa anche la sua forza: un rispetto profondo per i personaggi, per il loro dolore, per il tempo necessario alla guarigione.

Crediti Antonello&Montesi

Il titolo, Cinque secondi, racchiude l’essenza dell’opera: un istante, una frazione di tempo in cui qualcosa può cambiare per sempre, in cui lui forse, consapevolmente, sceglie di lasciar(si) andare, pagando poi per tutta la vita il prezzo della più alta forma di compassione.

Alla luce del significato di quei CINQUE SECONDI, il finale trova la sua piena quadratura emotiva. Il gesto di accudire Matilde — e con lei la nuova vita che porta dentro di sé — diventa l’immagine più limpida della rinascita: la terra, come l’uomo, può tornare fertile solo se qualcuno ha il coraggio di coltivarla di nuovo.

Nonostante qualche eccesso didascalico nella rappresentazione dei giovani idealisti e un’ironia talvolta ambigua, Cinque secondi resta un film profondo e sincero.

Cinque Secondi
3.5

Sommario

Il titolo racchiude l’essenza dell’opera: un istante in cui lui forse, consapevolmente, il protagonista sceglie di lasciar(si) andare, pagando poi per tutta la vita il prezzo della più alta forma di compassione.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice e Direttore Responsabile di Cinefilos.it dal 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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