Arrow – Stagione 5: la recensione della stagione che ha riportato la serie alle origini

-

Dopo due annate zoppicanti, dilatate da magia, totem e minacce apocalittiche che avevano snaturato lo spirito crime urbano delle origini, la quinta stagione di Arrow parte con un obiettivo chiarissimo: riportare Oliver Queen (Stephen Amell) con i piedi per terra. Niente più mondo da salvare, niente più immortalità o incantesimi: al centro tornano Star City, la colpa, le conseguenze delle proprie azioni e un antagonista costruito, finalmente, sul lungo periodo.

Fin dai primi episodi la sensazione è quella di una correzione di rotta consapevole: Arrow 5 non può tornare alla freschezza delle prime due stagioni, ma prova seriamente a recuperarne il DNA, limando gli eccessi del passato recente e concentrandosi su ciò che la serie sa fare meglio: vigilanti fallibili, conflitti morali, criminali umani e un passato che non smette mai di presentare il conto.

Oliver sindaco, un nuovo team e il ritorno alla strada

La premiere apre su una Star City diversa: Oliver è diventato sindaco, ma come vigilante è di nuovo solo. Thea si tiene alla larga dal mantello, Diggle è tornato soldato, il vecchio team non esiste più. Questo doppio ruolo – primo cittadino di giorno, arciere di notte – è la prima, chiara dichiarazione di intenti della stagione: riportare il conflitto su scala “cittadina” e personale, invece che cosmica.

L’ingresso di Tobias Church, criminale brutale armato di tirapugni e scagnozzi e non di poteri mistici, sancisce il ritorno a un tipo di minaccia fisica e concreta che mancava da tempo. In parallelo, i flashback abbandonano definitivamente magie e isole esotiche per portarci in Russia, tra la Bratva e un’ultima tappa dei cinque anni lontano da casa pensata per essere più lineare, coerente e funzionale al presente di Oliver.

Nei primi episodi vediamo il reclutamento del nuovo team – Wild Dog, Evelyn, Ragman, Mister Terrific – e il difficile addestramento guidato da un Oliver tornato inspiegabilmente duro, quasi crudele. Episodi come “The Recruits” e “A Matter of Trust” alternano buone scene d’azione corali e coreografie efficaci a tutti i limiti storici della serie: dialoghi spesso didascalici, discorsetti motivazionali risolti in pochi secondi, transizioni “magiche” tra abiti civili e costume. Sono capitoli senza infamia e senza lode, che si lasciano guardare ma aggiungono poco alla macro-trama, confermando come Arrow 5 abbia bisogno di tempo per carburare davvero.

Prometheus e Tobias Church: la stagione del villain (quasi) perfetto

Se Tobias Church rappresenta il volto più immediato e brutale del crimine di Star City, il vero motore della stagione è Prometheus, il villain che, lentamente, diventa il più subdolo e personale avversario mai affrontato da Oliver. La serie gioca da subito su indizi, infiltrati e traditori interni al team, intrecciando la caccia all’antagonista con il passato da killer senza scrupoli dell’Incappucciato.

“What We Leave Behind”, episodio natalizio e mid-season finale, è uno dei primi veri picchi della stagione: i flashback in Russia vengono momentaneamente accantonati per creare un filo diretto con gli esordi di Oliver, quando uccidere era la norma e non l’eccezione. Le azioni di allora tornano a mordere il presente, e non solo in senso metaforico. Il tema non è nuovo – “chiunque mi stia vicino si fa male” – ma qui viene declinato con più spessore, grazie a dialoghi meno convenzionali e a scelte di regia che rendono le paure del protagonista tangibili, concrete, supportate dai fatti e non solo dalle parole.

Subito dopo, in “Who Are You”, la stagione rilancia con il ritorno di Laurel Lance: è davvero lei o un inganno? L’episodio sposta per un momento il focus da Prometheus a Black Canary e a Diggle, ma in realtà continua a lavorare sullo stesso asse tematico: senso di colpa, lutto irrisolto, impossibilità di separare la maschera dall’uomo. L’azione non manca, ma è funzionale al tormento interiore di Oliver, sempre diviso tra speranza e razionalità.

Russia, Bratva e Lian Yu: il cerchio dei cinque anni si chiude

Sul fronte flashback, la quinta stagione ha il compito non semplice di chiudere il cerchio iniziato con il naufragio del pilot. L’approdo in Russia e l’ingresso di Oliver nella Bratva restituiscono finalmente una storyline parallela più coerente rispetto agli ultimi anni, anche se non sempre appassionante.

La Russia offre momenti interessanti, introduce volti noti dell’universo DC e prepara il ritorno definitivo a Lian Yu, ma il minutaggio spesso ridotto e alcuni passaggi poco incisivi fanno sì che i flashback funzionino più come ponte tematico che come racconto autonomo. È nel finale, con “Lian Yu”, che tutto trova senso: presente e passato si fondono sull’isola che ha visto nascere l’Incappucciato, mostrando in parallelo il tentativo di fuga del “naufrago” Oliver e la missione per salvare famiglia e compagni. Per la prima volta dopo anni, la struttura a incastro tra linee temporali torna ad avere un peso emotivo e narrativo reale.

Episodi tematici, denuncia sociale e limiti della scrittura

Arrow 5 non rinuncia agli episodi più dichiaratamente “a tema”, con risultati altalenanti. “Spectre of the Gun” affronta la questione delle armi da fuoco negli Stati Uniti attraverso una sparatoria al municipio e il passato di Renè, ricostruito in flashback. Le intenzioni sono lodevoli e la scelta di spostare il focus sul ruolo di Oliver come sindaco è interessante, ma la scrittura scivola spesso nella moralità spicciola, in discorsi già sentiti e in una struttura che, al netto del dramma personale di Wild Dog, incide pochissimo sulla macro-trama.

Molto più riuscito è “The Sin Eater”, che riprende i sensi di colpa come motore narrativo e mette al centro le scelte sbagliate – politiche e personali – del protagonista. Il ritorno di vecchie nemiche serve soprattutto da sfondo a questioni più rilevanti: la somiglianza crescente di Thea con la madre, la fragilità dell’immagine pubblica di Oliver, l’ombra costante di Prometheus che, pur non apparendo, sembra muovere i fili da dietro le quinte.

Sono episodi che confermano pregi e difetti storici dello show: quando si concentra sui conflitti morali e sulle conseguenze delle azioni, la serie trova un buon passo; quando cede alla tentazione del “messaggio” esplicito, rischia di sacrificare ritmo e sviluppo del plot.

Il gioco psicologico con Prometheus: processare Oliver Queen

La vera svolta della stagione avviene quando il conflitto con Prometheus diventa esplicitamente psicologico. In “Disbanded” (Arrow 5×18), dopo una prigionia logorante, Oliver torna a casa spezzato, convinto di non poter più indossare il cappuccio. Prometheus ha fatto quello che nessun altro villain era riuscito a fare: convincerlo che la sua crociata non è redenzione ma prolungamento della sua oscurità. La domanda che lo spettatore si pone – “tutto quello che abbiamo visto in questi cinque anni aveva davvero un senso?” – è la stessa che tormenta Oliver, e questa sovrapposizione è uno dei veri punti di forza della stagione.

Mentre il team prova a reagire senza il suo leader e la storyline di Helix trascina Felicity verso alleanze sempre più ambigue, la serie continua a lavorare sull’idea di processo al protagonista: chi è davvero Oliver Queen? Un eroe o un assassino che si è costruito un alibi moralmente accettabile? Episodi come “Dangerous Liaisons” rallentano il passo e appaiono quasi come riempitivi, dilatando in modo eccessivo trame che avrebbero potuto essere risolte in meno tempo, ma persino qui emergono piccoli gioielli di scrittura di personaggio, come il rapporto sincero e insolito tra Quentin Lance e Renè, uno dei legami più umani della stagione.

Verso Lian Yu: un finale in due parti che rilancia davvero la serie

Il vero rilancio arriva negli ultimi due episodi, “Missing” e “Lian Yu”, costruiti come un unico grande atto finale. Con Adrian Chase in carcere, l’illusione di aver vinto dura pochissimo: come in un piano alla Loki, la cattura era parte della strategia del villain, che muove finalmente tutte le sue pedine.

“Missing” è una lunga preparazione allo scontro conclusivo: vecchie conoscenze tornano in scena, alleanze inattese si formano, il ritmo resta serrato dall’inizio alla fine. Ciò che sorprende è che i tanti ritorni – Nyssa, Merlyn, Slade Wilson – non risultano forzati, ma trovano ognuno un proprio spazio credibile all’interno del racconto.

Con “Lian Yu” la serie centra uno dei migliori finali della sua storia recente. Niente computer impazziti o minacce globali: solo mani nude, archi, frecce, esplosioni e un’isola che diventa teatro di un regolamento di conti fisico e simbolico. La regia costruisce un crescendo di tensione, alternando scontri corpo a corpo, inseguimenti e rovesciamenti di fronte, mentre i flashback colmano finalmente il vuoto tra l’Oliver naufrago e quello che vediamo tornare a Starling nel pilot. Il cerchio dei cinque anni si chiude, ma la stagione lascia il pubblico con uno dei cliffhanger più apertamente destabilizzanti dell’intera serie.

Pregi e difetti di Arrow 5: un equilibrio (quasi) ritrovato

La quinta stagione di Arrow non è perfetta: gli episodi filler si sentono, alcuni dialoghi restano troppo espliciti, certe puntate “a tema” sacrificano la coerenza della storia per una moralina di giornata. Eppure, nel complesso, segna un netto passo avanti rispetto alla terza e soprattutto alla quarta stagione.

Il ritorno al crime urbano, la costruzione paziente di un antagonista profondamente legato al passato di Oliver, la chiusura del ciclo dei flashback e un finale intenso e coerente restituiscono alla serie un’identità che sembrava perduta. Arrow 5 non è solo una stagione di transizione: è il tentativo riuscito di rimettere al centro la domanda che ha reso interessante la serie fin dall’inizio – quanto costa davvero essere un “eroe”? – e di farlo con una consapevolezza maggiore dei propri limiti e punti di forza.

Per i fan storici rappresenta un piccolo, ma significativo, ritorno a casa; per chi aveva abbandonato dopo le derive magiche e apocalittiche, può essere il momento giusto per concedere a Star City una seconda possibilità.

Arrow - Stagione 5
3.5

Sommario

Arrow – Stagione 5 ritrova l’identità perduta: un villain memorabile, un finale intenso e la chiusura del cerchio dei flashback. Non perfetta, ma un ritorno in forma.

Redazione
Redazione
La redazione di Cinefilos.it è formata da un gruppo variegato di appassionati di cinema. Tra studenti, critici, giornalisti e aspiranti scrittori, il nostro gruppo cresce ogni giorno, per offrire ai lettori novità, curiosità e informazione sul mondo della settima arte.

ALTRE STORIE