Sanctuary, recensione della serie Netflix

Sanctuary è un'emozionante vetrina della passione e dello spirito combattivo caratteristici dei lottatori di sumo.

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Dal 04 maggio è disponibile su Netflix la serie tv di produzione giapponese Sanctuary, una serie drammatica che esplora il mondo poco conosciuto del sumo professionistico, rivelando le ambizioni, le lotte e la determinazione di giovani che lottano per fama, denaro e potere. Presentando una nuova prospettiva su uno sport tradizionale giapponese che ha più di 1500 anni, la serie si propone di infrangere i tabù su quest’arte sportiva e mettere in luce lo spirito combattivo di questi atleti di talento.

 

Diretto da Kan Eguchi (“The Fable“) e scritto da Tomoki Kanazawa (“Sabakan“), la serie si assume l’ambizioso compito di rappresentare questo sport a livello professionale. Come vedremo in questa recensione di Sanctuary, la serie vanta un reparto tecnico di tutto livello, come molti originali giapponesi dello streamer, ma ne condivide anche i più comuni difetti narrativi e strutturali.

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Sanctuary, una storia di sacrificio e rinascita

La trama di Sanctuary vede un ragazzo duro e disperato – Kiyoshi Oze, interpretato da Wataru Ichinose – diventare un lottatore di sumo, affascinando i fan con il suo atteggiamento spavaldo e sconvolgendo un’industria intrisa di tradizione. La scrittura di questo progetto vuole dimostrare come il sumo, pur essendo conosciuto in tutto il mondo come parte della cultura tradizionale giapponese e come rituale religioso tramandato per oltre 1.500 anni, rimane un mondo velato di segretezza. Il dohyo, il ring dove si disputano gli incontri di sumo, è davvero un santuario costruito sulle fondamenta di questo mondo insolito.

Kiyoshi Oze proviene da una famiglia problematica e ha fatto parte del mondo del crimine per tutta la vita. Avendo bisogno di soldi, quando viene a sapere che un lottatore di sumo può guadagnare molto denaro, inizia a pensare che con il suo corpo e le sue abilità di combattimento possa affrontare chiunque. Tuttavia, testardo fino al midollo e fin troppo sicuro delle sue capacità, Oze spesso salta gli allenamenti e sfida i lottatori più esperti, indole che finisce per etichettarlo come un “caso disperato”. Continua a fare di testa sua, fino a quando non si scontra con un sumo di nome Frankenstein, che lo sconvinge brutalmente. Proprio a questo punto, sconfitto e praticamente cacciato dal mondo del sumo, capisce che è ora di cambiare prospettiva. Allenandosi duramente secondo le regole e le tradizioni, Oze decide di farsi un nome: Sumo Enno. Oltre alla sua storia ispiratrice, la serie tv si concentra anche su tutte le personalità che si avvicinano al mondo del sumo e che lottano per trovare la loro strada nella vita.

Tra questi, ci vengono presentate le vicende di altri lottatori, come Shimizu (interpretato da Shota Sometani), che ama questo sport ma non è dotato di un fisico ideale, e Kunishima (interpretato da Shioli Kutsuna), un giornalista che viene relegato a occuparsi di sumo. Come in tutti gli altri sport, anche in questo caso accadono cose sottobanco, che potrebbero essere smascherate da Kunishima e persino aiutare il viaggio di Oze.

Una serie per immergersi nella cultura giapponese

Sanctuary potrebbe essere la proposta perfetta per quella fascia di pubblico interessata alle tradizioni, cultura e società giapponese e come si siano evoluti gli usi e i costumi nipponici nel corso degli anni. In questo senso, la produzione ha fatto un ottimo lavoro di ricerca storica sull’arte del sumo e riesce a spiegarne in maniera chiara e mai troppo distante le regole, la struttura del torneo, il modo di vestire dei lottatori e altri aspetti. Viene posto l’accento anche sui valori necessari per intraprendere una carriera in questo mondo, tra cui l’umiltà, il rispetto per gli avversari e la dedizione alla pratica e all’allenamento intensivo. Da questo punto di vista, Sanctuary è un’emozionante vetrina della passione e dello spirito combattivo caratteristici dei lottatori di sumo.

Il sumo è uno degli sport più visivamente affascinanti e che meglio si presterebbe alla drammaturgia: gl intrighi, le alleanze mutevoli che vi stanno alla base e i suoi 2.000 anni di storia rivaleggiano con quelli di qualsiasi epopea fantasy. Eppure, in qualche modo, il sumo non è mai stato rappresentato accuratamente al cinema, né alcuna serie o film ha mai reso giustizia alle emozioni, agli strazi, alla gioia, al dolore e alla sofferenza che si trovano sul ring e nelle scuderie. Purtroppo, la mancanza di autenticità sullo schermo è un problema che grava da tempo sul sumo. Probabilmente la migliore rappresentazione di questo sport è il pluripremiato film di Masayuki Suo del 1992, “Shiko Funjatta“, distribuito all’estero con il titolo “Sumo Do, Sumo Don’t“, che si tratta tuttavia perlopiù di una commedia stilizzata, incentrata sul sumo collegiale piuttosto che su quello professionistico.

Veri lottatori di sumo sul “ring” di Sanctuary

Sanctuary NetflixAltra nota di merito di Sanctuary sono sicuramente le performance attoriali. Va specificato che, per prepararsi al meglio al ruolo dei lottatori di sumo, gli attori hanno trascorso circa un anno di intenso allenamento fisico sotto la supervisione di esperti di Hollywood e di un allenatore olimpico che li ha seguiti dal punto di vista nutrizionale. Per oltre sei mesi, si sono allenati nel sumo per rendere giustizia alla realtà di questo sport.

Il personaggio principale, Saruzakura, è interpretato da Wataru Ichinose (Weaker Beast), un ex artista marziale professionista. Saruzakura si unisce a una scuderia di sumo come giovane discepolo, ma le sue motivazioni hanno più a che fare con il denaro che con lo sport in sé. Il cast comprende anche Pierre Taki nel ruolo del maestro della scuderia, Koyuki nel ruolo della moglie del maestro e Shota Sometani nel ruolo dell’amico di Saruzakura, Shimizu.

Con la sua violenza esagerata, l’ambientazione quasi da realtà alternativa e personaggi che assomigliano più a caricature, Sanctuary vive di un’atmosfera alla Quentin Tarantino e potrebbe rivelarsi una serie divertente e di successo.

Un ritmo non sempre coinvolgente

Lo sviluppo narrativo di Sanctuary non è propriamente organico: diverse storyline impiegano più tempo del necessario per dipanarsi e il tono del racconto che la serie mantiene, in gran parte duro e aggressivo, non rende particolarmente facile agli spettatori il navigare in questa storia. Gran parte dei primi quattro episodi sono spesi a crogiolarsi nelle buffonate di Kiyoshi ed è solo quando il nostro protagonista inizia finalmente a prendere sul serio lo sport, Sanctuary diventa più coinvolgente. Tuttavia, gli episodi successivi sembrano affrettati e il finale di stagione tronca la storia in maniera poco chiara. Molteplici sottotrame vengono abbandonate, mentre la serie si orienta verso un tipo di narrazione più sentimentale e, a tratti, stucchevole: quella del loser, il perdente che deve redimersi.

Come dicevamo, se il fatto di avere nel proprio cast lottatori di sumo professionisti rende tutte le sequenze di allenamento e dei tornei particolarmente ritmate e dolorose da guardare, l’arco complessivo di Sanctuary assomiglia più a un incontro di sumo anticlimatico, non di certo quello che ci era stato prospettato dalle premesse della serie.

Sommario

L'arco complessivo di Sanctuary assomiglia più a un incontro di sumo anticlimatico, non di certo quello che ci era stato prospettato dalle premesse della serie.
Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è redattrice e critica cinematografica per i siti CinemaSerieTv.it, ScreenWorld.it e Cinefilos.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese. Collaboratrice del canale youtube Antonio Cianci Il RaccattaFilm, con cui conduce varie rubriche e live streaming, è ospite ricorrente della rubrica Settima Arte di RTL 102.5 News.

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