Silo, recensione della serie Apple Tv+ con Rebecca Ferguson

La serie sarà disponibile su Apple TV+ il 5 maggio con i primi due episodi dei dieci totali, seguiti da un nuovo episodio settimanale, ogni venerdì fino al 30 giugno.

Silo Recensione

Quando si tratta di serie di fantascienza, ormai il minimo comun denominatore che sembra unire la stragrande maggioranza di questi prodotti in un unico calderone estetico/visivo è la grandezza, la magniloquenza dello spettacolo. Non c’è poi tanto da stupirsi, visto dove si è diretto anche il cinema hollywoodiano negli ultimi anni. È quindi un piacere poter gustare uno show come Silo che al contrario sceglie la direzione opposta, ovvero quella di un prodotto coerente nella visione ma soprattutto improntato su un’idea forte di narrazione.

 

Silo, la serie tratta dai romanzi di Hugh Howey

Alla base della nuova serie di Apple TV+ ci sono i romanzi scritti da Hugh Howey: l’ambientazione principale è appunto un enorme silo in cui sono rinchiusi da secoli un numero imprecisato di esseri umani. Il mondo esterno è stato devastato e l’unica salvezza si è rivelata nel confinamento, creando una nuova società fatta di regole ferree e una rigida scala sociale. Alcuni membri della comunità però iniziano a dubitare che la realtà fuori dalla fortezza/prigione sia fatta soltanto di morte e devastazione. Tra loro c’è Allison (Rashida Jones), moglie dello sceriffo Holston (David Oyelowo), intenta a scoprire la verità su cosa sta realmente succedendo. La donna metterà in moto un catena di eventi drammatici che vedrà protagonista quasi suo malgrado l’ingegnere Juliette (Rebecca Ferguson), donna dal passato doloroso che vuole scoprire la verità sulla morte “accidentale” del suo amante.

I primi episodi di Silo diretti da Morten Tyldum (nomination all’Oscar per The Imitation Game, Passengers) possiedono uno spessore drammatico degno delle migliori produzioni di questo genere. Il regista riesce a sfruttare al meglio l’enorme lavoro di composizione del set principale per creare un’atmosfera di placida disperazione, un ambiente che protegge e allo stesso tempo non permette a coloro che vi vivono confinati una vera e propria libertà di espressione. Il pathos generato dalla vicenda personale dei personaggi avvicina Silo ad alcuni pilastri dell’utopia negativa letteraria, primo tra tutti 1984 di George Orwell.

Oltre a un pilot di indubbio impatto emotivo anche le due puntante successive immergono lo spettatore in un universo molto ben delineato, la cui estetica rimanda in qualche modo allo steampunk nella volontà di adoperare le scenografie e i costumi retrò – anche se in questo caso il riferimento preciso sono gli anni ‘70. Man mano che la storia procede nel corso degli episodi lo show si concentra maggiormente sullo sviluppo della trama e della detection, perdendo leggermente di efficacia nella rappresentazione dei conflitti interiori.

Nonostante si noti tale discrepanza, Silo rimane comunque uno show che sa intrattenere con evidente competenza e conoscenza delle regole della fantascienza distopica. Merito della riuscita va attribuito anche, se non addirittura principalmente, a un cast di attori notevole. Rashida Jones è la protagonista assoluta ed emozionante della prima puntata, un ritratto femminile a tutto tondo che diventa immediatamente eroico nella sua ricerca della verità. Nella puntata successiva tocca invece a David Oyelowo elevare la figura di Holston, conducendolo nel corso di una parabola umana precisa e dolorosa.

Rebecca Ferguson, un protagonista feroce

Il resto lo fa una Rebecca Ferguson assolutamente in parte, capace di dotare il personaggio di Juliette di una ferocia emozionale quasi respingente. L’attrice di origini scandinave lavora magnificamente nello sviluppare un linguaggio del corpo e un tipo di recitazione in grado di esplicare la vita interiore del personaggio, una figura femminile tutt’altro che scontataç le ferite interiori della donna vengono rappresentate dagli scatti bruschi, dalle occhiate rabbiose, da parole lasciate uscire anche soltanto digrignando i denti. Siamo lontani anni luce dalle performance eleganti e carismatiche attraverso le quali abbiamo imparato ad apprezzare Ferguson: in Silo ci offre una nuova gamma delle sue possibilità di interprete, confermando una versatilità ammirevole.

Potrebbe non essere una delle serie sci-fi più originali mai realizzate Silo, ma la lucidità e la coerenza visiva con cui gli autori e i creator l’hanno realizzata ne testimonia la fattura elevata. Ci troviamo di fronte a una comprensione del genere e dei suoi sottotesti piuttosto evidente, fattore che arriva a confermare quanto Apple TV+ – che ci ha regalato anche la notevole Foundation tratta da Isaac Asimov, di cui attendiamo con trepidazione la nuova stagione – sappia scegliere con discreta cura quando si tratta di raccontare il nostro presente attraverso il filtro del fantastico.

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