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Infine ci siamo. La prima stagione di Mob City giunge al suo epilogo dopo sole tre settimane di programmazione e sei episodi. La mini serie della TNT creata da Frank Darabont e ispirata al romanzo L.A. Noir di John Buntin sospende le danze con un episodio al cardiopalma dal titolo Stay Down.

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Dopo il vortice di tensione ed eventi dell’episodio precedente che ha offerto colpi di scena mozzafiato, era difficile organizzare un season finale degno di nota. Eppure Darabont ce l’ha fatta. Avevamo lasciato John Teague (Jon Bernthal) in possesso delle ormai famose fotografie che inchiodano Ben Siegel (Edward Burns), dopo essere stato mollato (e schiaffeggiato) da Jasmine (Alexa Davalos), che per il gran finale si chiama fuori dai giochi scappando a San Francisco. Tramite Ned (Milo Ventimiglia) Teague si accorda con Siegel per uno scambio: le foto per la vita della sua amata Jasmine, bollata come testimone pericoloso. Ma la questione delle prove non è la priorità per “Bugsy”. Da Las Vegas giunge Meyer, il suo socio e grande amico, che comunica a Ben e Sid (Robert Knepper) notizie tutt’altro che buone: il progetto del “paradiso del gioco d’azzardo” non potrà essere completato. È la prima volta dall’episodio pilota che rivediamo riuniti i tre ragazzi dal grilletto facile che hanno spadroneggiato durante i proibizionismo. Stay Down, in questo senso, si connota come l’episodio dei “ritorni”, come si conviene a un finale che si rispetti. Ritorni fisici di personaggi come nel caso di Meyer, appunto, ma anche come ritorni narrativi prepotenti di fili lasciati penzolare fin dal primo episodio: gli incontri tra gli ex colleghi Marine Teague e Stax su sottofondo di jazz e luci soffuse e la crociata contro la corruzione all’interno del corpo di polizia di William Parker (Neal McDonough). In particolare Ned e John si impongono come il collante narrativo dell’episodio e in generale dell’intera serie. Il trasporto per Jasmine induce Teague al solo atto che poteva spostare gli equilibri della struttura dello show: l’omicidio di Siegel. In un mondo fatto di cappelli bianchi e di cappelli neri, un grigio ha alzato la voce nell’ombra della sua ibridazione e del suo doppio gioco. Nella sequenza dell’assassinio gli unici suoni sono il respiro di Joe, gli spari del suo fucile e l’infrangersi dei vetri. Non serve altro. La città degli angeli è una gigantesca bomba a orologeria, e l’azione di Joe l’ha innescata. Il vuoto di potere che si è venuto a creare infuocherà gli animi dei clan rivali. E intanto a fuoco vanno le fotografie, per mano di Sid. Meyer e Mickey Cohen (Jeremy Luke) si incontrano per il passaggio di testimone dell’eredità di Ben. Il segugio è stato sguinzagliato e andrà a fondo della faccenda per scoprire chi e perché ha compiuto quel gesto.

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Gli affari e gli interessi lasciano spazio a ciò che conta davvero anche laddove tutto sembra marcio e senza valori: i legami, le amicizie, i sodalizi. Il passato è la dimensione più presente nell’animo dei personaggi, e li accompagna ovunque vadano. È impossibile muoversi agilmente e di nascosto con un tale peso. Joe lo sa, e Ned lo sa ancora meglio. Cosa succederà? Dovremo aspettare per dirlo. Il format della serie è decisamente interessante. Vedremo se sarà sfruttato a dovere anche nella seconda (?) stagione.

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