In Italia Una poltrona per due è diventato, nel corso degli anni, molto più di una semplice commedia: è un vero e proprio rito natalizio. La sua messa in onda televisiva, puntuale durante le festività, ha contribuito a trasformarlo in un appuntamento fisso per generazioni di spettatori, capace di unire pubblico trasversale e memoria collettiva. Un caso quasi unico, soprattutto se si considera che il film, negli Stati Uniti, non è legato in modo così indissolubile all’immaginario cinematografico del Natale, ma viene da noi percepito come parte integrante delle festività, al pari di altri grandi classici.
Uscito nel 1983 e diretto da John Landis, Una poltrona per due è una commedia brillante che mescola satira sociale, umorismo slapstick e meccanismi da film “a incastro”, giocando con lo scambio di ruoli e con l’idea dell’esperimento sociale portato all’estremo. Landis, reduce dal successo di The Blues Brothers e Animal House, utilizza la struttura della commedia per affondare il colpo contro il capitalismo aggressivo, il darwinismo sociale e l’arroganza delle élite economiche, confermando la sua capacità di usare il genere come veicolo di critica, senza mai rinunciare al ritmo e all’intrattenimento.
Il cast è uno dei grandi punti di forza del film: Eddie Murphy, all’apice della sua ascesa, e Dan Aykroyd, in un ruolo di progressiva decostruzione del privilegio, formano una coppia perfettamente bilanciata, affiancata da una memorabile Jamie Lee Curtis e dai glaciali fratelli Duke, incarnazione di un potere cinico e irresponsabile. Al centro del racconto emergono temi come il caso contro il merito, la costruzione artificiale del successo e la fragilità dell’identità sociale, elementi che hanno contribuito alla longevità del film ben oltre il suo contesto storico. Nel resto dell’articolo entreremo nel dettaglio del finale, proponendo una spiegazione della sua risoluzione narrativa e del significato simbolico che chiude questa commedia apparentemente leggera, ma tutt’altro che superficiale.
La trama di Una poltrona per due
Protagonista del film è Louis Winthorpe III, un agente di cambio di grande successo. La sua vita trascorre tranquilla tra il lavoro, le partite di tennis al circolo e le serate con la fidanzata. Il lavoro di broker presso la società Duke & Duke gli permette infatti di godere di tutto ciò. Al contrario, Billie Ray Valentine è invece uno straccione, che mendica elemosina per strada. Le vite dei due si incrociano casualmente, quando Billie Ray viene arrestato a causa di un equivoco: in seguito ad uno scontro fortuito, Louis crede di essere aggredito dallo stesso e spaventato chiede l’intervento dei poliziotti. L’episodio alimenta uno scambio di opinioni tra i proprietari della società finanziaria per la quale lavora Louis, i fratelli Mortimer e Randolph Duke, favolosamente ricchi quanto avari.
Questi, infatti, sono in disaccordo sulle motivazioni che spingono un uomo alla criminalità; da una parte Mortimer sostiene che alcune persone siano geneticamente predisposte alla delinquenza o al successo dalla nascita, mentre il fratello Randolph è invece convinto che sia l’ambiente nel quale si vive a determinare l’agire e le abitudini di un individuo. Per verificare le proprie posizioni i Duke decidono di fare un esperimento: pongono Billie Ray Valentine in una posizione privilegiata, e fanno invece arrestare Louis, il quale perde così tutto ciò che ha ottenuto nella vita. Louis e Billie si ritroveranno così catapultati in ruoli che non gli appartengono. Dovranno entrambi faticare molto per potersi affermare e conquistare ciò che gli spetta.
La spiegazione del finale del film
Il terzo atto di Una poltrona per due coincide con il passaggio definitivo dalla farsa allo scontro frontale. Dopo aver scoperto di essere cavie di un cinico esperimento, Louis Winthorpe e Billy Ray Valentine uniscono le forze e costruiscono una vendetta che passa attraverso le stesse regole del sistema che li ha distrutti. Il piano sul treno, con lo scambio del rapporto agricolo e l’umiliazione di Beeks, ha toni da commedia pura, ma prepara una resa dei conti lucida e metodica, spostando l’azione nel cuore simbolico del capitalismo americano: la Borsa.
La sequenza ambientata sul floor delle contrattazioni a New York rappresenta la risoluzione narrativa del film. I fratelli Duke, convinti di possedere informazioni privilegiate, si espongono finanziariamente fino all’autodistruzione, mentre Winthorpe e Valentine sfruttano le dinamiche speculative contro di loro. Il ribaltamento è totale: chi controllava il gioco ne diventa vittima, chi era stato umiliato ne padroneggia le regole. Il film si chiude con la bancarotta pubblica dei Duke, ridotti all’impotenza, e con l’immagine finale dei protagonisti finalmente liberi, lontani dal mondo che li aveva definiti.
La spiegazione del finale passa dalla perfetta coerenza con il tema centrale del film: la costruzione artificiale del successo. Landis mostra come la ricchezza dei Duke non sia frutto di superiorità morale o intellettuale, ma di accesso al potere e alle informazioni. Quando Winthorpe e Valentine ottengono gli stessi strumenti, il sistema si rivela fragile e manipolabile. Il colpo di scena non è tanto economico quanto ideologico: il capitalismo che i Duke difendono crolla nel momento stesso in cui qualcuno ne applica le regole con maggiore intelligenza e meno arroganza.
Il finale porta così a compimento anche il discorso su natura e cultura che attraversa tutto il film. Valentine dimostra di poter eccellere nel mondo dell’alta finanza, Winthorpe di sopravvivere fuori dai privilegi, smontando l’assunto su cui si basava la scommessa iniziale. Il denaro cambia di mano, ma soprattutto cambia di significato: non è più strumento di dominio, bensì di riscatto. La restituzione simbolica del dollaro della scommessa suggella l’inversione dei ruoli, trasformando l’umiliazione subita in una vittoria morale prima ancora che materiale.
Ciò che Una poltrona per due lascia allo spettatore è un messaggio sorprendentemente amaro sotto la superficie della commedia. Il film suggerisce che il sistema economico non premia il merito, ma chi sa manipolarne le logiche, e che le disuguaglianze sono spesso il risultato di decisioni arbitrarie. Il lieto fine non cancella questa critica, ma la rende più incisiva, mostrando come la vera anomalia non sia l’ascesa dei protagonisti, bensì il potere incontrastato di chi, come i Duke, ha sempre giocato senza conseguenze.
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