Si è tenuta questa mattina a Roma
l’anteprima dell’attesissimo esordio di Stefano Sollima, conosciuto
da tutti e soprattutto dalle più giovani generazioni, per essere il
regista di Romanzo Criminale – La serie. Il film in programma, di
cui tutti ormai stanno parlando, è il coraggioso ACAB, tratto dal
romanzo omonimo di Carlo Bonini, edito da Einaudi.
Il regista inaugura la conferenza stampa, definendo il suo film,
“un film di genere, un poliziesco come quelli che si vedevano negli
anni ’70. Un film che affronta, in maniera intelligente, alcuni dei
temi che caratterizzano la nostra società.” La trama di ACAB,
infatti, tratta da una storia vera, racconta la quotidianità
intrisa di aggressività in cui ogni giorno si trovano a vivere i
celerini, citando alcune delle pagine storiche più violente della
cronaca recente: dalla morte brutale di Giovanna Reggiani a quella
di Gabriele Sandri, passando per il poliziotto Filippi Raciti, e la
rabbia verso gli immigrati. Nessuno è colpevole, nessuno è
innocente e tutte le categorie della società fanno parte di questo
gioco dannoso. “Non abbiamo avuto nessun contributo dal reparto
mobile della Polizia dello Stato” – interviene Marco Chimenz,
produttore per Cattleya – “Non ha messo a disposizione caserme,
però non abbiamo neanche avuto alcun tipo di ostruzionismo o
contestazione ufficiale.” I protagonisti, in particolare i tre
celerini, interpretati da Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e
Marco Giallini, ammettono che la preparazione del film non è stata
affatto semplice, né dal lato fisico, né mentale. Hanno dovuto seguire un
addestramento fisico basato soprattutto sul rugby. “Molte
formazioni di quello sport hanno una netta somiglianza con le
tecniche di difesa e attacco usate dai celerini” – ha spiegato
Favino, il quale aggiunge: “Prima di fare questo film, avevo dei
pregiudizi verso la categoria che interpreto, ma dopo essermi
ritrovato a vivere fisicamente la tensione e le aggressioni
quotidiane alle quali sono sottoposti, ho cambiato la mia
percezione nei loro confronti. Non voglio dire che sia giusto il
loro atteggiamento, ma che sia umano rispondere con violenza a
un’aggressione. Poi loro, in realtà, dovrebbero esser addestrati a
non reagire, ma questo è tutto un altro discorso”. Anche Filippo
Nigro conferma quanto detto dal collega, indicandoci una risposta
al loro atteggiamento, la creazione di una sorta di Stato
personale, per il quale devono forzatamente lottare. Ma sono le
parole di Andrea Sartoretti, che nel film interpreta un ex
celerino, ad accendere un discorso molto interessante sullo Stato:
“Sono poliziotti pagati per vivere una guerra civile quotidiana”.
Sono quindi burattini, bersagli mossi dallo Stato per generare
violenza e caos nella società. La soluzione sembra non esserci, ma
in fondo essa è palesata nel finale, dal più giovane della squadra,
Adriano Costantini (Daniele Dieli) che sceglie con coraggio la
legalità.
Presente in sala Carlo Bonini, autore del romanzo che ha ispirato
il film, il quale spiega che il suo desiderio era di raccontare una
realtà che la letteratura non aveva mai affrontato. Una storia
spesso contaminata dai media, a sua volta strumenti del potere che
vuole spingere la violenza e l’odio verso i più deboli.
ACAB, in accordo con il romanzo, è un film che ha la pretesa,
riuscitissima, di raccontare un mondo di violenza, sempre più
familiare, dove non c’è un solo colpevole, e il marcio è così
difficile da combattere perché si trova dentro la società. “Non
abbiamo criminalizzato la polizia, né creato un profilo unico del
celerino”, afferma con determinazione Stefano Sollima, sostenuto
poi da Favino: “L’atteggiamento del film è morale, perché ci
racconta una verità. Non è moralista e non divide i buoni dai
cattivi, ma consente di interpretare liberamente la storia. Questa
violenza appartiene a tutti.”
Come Sollima, lascio a voi l’interpretazione di questa storia; dal
27 gennaio nei cinema italiani, distribuito in 300 copie.
A.C.A.B.,la società dell’odio: intervista al cast
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