Dopo un inverno particolarmente rigido Brian entra in una profonda depressione; completamente isolato e senza nessuno con cui parlare, Brian fa quello che qualsiasi persona sana di mente farebbe di fronte a una situazione così malinconica: Costruisce un robot, Charles. Ma chi sono Brian e Charles?
Ce lo hanno raccontato il regista del film – in sala a partire dal 31 agosto, distribuito da Lucky Red – e i suoi due complici, gli interpreti principali David Earl (After life) e Chris Hayward (The It Crowd), che dopo aver portato questi due personaggi surreali sui palcoscenici di tanti comedy club si sono prestati a farne un corto prima e un film poi. E a raccontarne la genesi…
Genesi che potete raccontarci?
DAVID EARL: Sono stato Brian per diversi anni, sui palchi dei piccoli club del Regno Unito e degli Stati Uniti, e nella mia testa. L’ho immaginato – e portato avanti per anni – come il peggior stand-up comedian del mondo, uno sempre a disagio sul palco. Poi, il passaggio successivo, è stato quello di inventare una finta trasmissione su internet, dove le persone telefonavano senza sapere nulla, e dove una notte il produttore ha risposto usando un software vocale, creando così di fatto il personaggio di Charles. Lui ci metteva del tempo per rispondere, dovendo digitare le risposte che il computer avrebbe poi recitato, e così è nato questo rapporto particolare tra Brian e Charles. Quando Chris ha sentito la trasmissione ha detto che voleva interpretarlo, renderlo vivo. Perciò abbiamo continuato insieme a portarlo in giro nei locali notturni, e abbiamo visto che il pubblico gli si era molto affezionato, al punto da pensare che avremmo potuto farne altro. Un progetto che avevamo accantonato, fino a quando la film4 ci ha contattati…
Un progetto che è cambiato durante il percorso…
CHRIS HAYWARD: Sicuramente si, soprattutto tra cortometraggio e spettacolo dal vivo. Abbiamo cercato di immaginare diversi modi in cui si comportano i personaggi, anche perché in un film diretto a un pubblico più vasto volevamo renderli più piacevoli. Più di quello della versione ‘Stand up’ dei club, Dove Brian era più adulto, più duro, più al limite. Abbiamo guardato a quel che avevamo fatto e deciso che volevamo conservare elementi differenti del personaggio di Charles che erano piaciuti al pubblico, come le discussioni con Brian, la parte del ballo. Qui vedi tutto, tutte le fasi, anche accorciate, dalla creazione iniziale, con lui bambino, all’apprendimento e alla crescita, fino all’adolescenza. In questa versione abbiamo voluto rendere Brian più dolce, farne un vero emarginato, in modo che per il pubblico fosse più facile relazionarcisi e fare il tifo per lui. Come abbiamo fatto anche per Charles.
Personaggi che siete riusciti a non rendere mai noiosi, che avete fatto vostri?
CHRIS HAYWARD: Riusciamo a farli funzionare ancora perché ci siamo sempre divertiti tantissimo a rappresentarli. Quando ci esibivamo dal vivo, o nel corto, c’è sempre stata una atmosfera di grande divertimento, l’obiettivo della giornata è sempre stato di far ridere altro. E questo ha aiutato a mantenere una certa freschezza, a evitare di diventare noiosi. Anche sul set.
DAVID EARL: E’ vero che il personaggio è quello, ma in un club ogni notte è diverso, anche per il publico, e portarlo in media diversi – dal corto al film – ha anche aiutato a mantenere quella freschezza e spero di riuscire a farlo. Quanto al resto, io SONO Brian. Come lui inventa cose che non servono a niente o non funzionano mai, anche io continuo a fare cose che non mi riescono, ma vado avanti.
E qual è stata la tua creazione più riuscita, invece?
DAVID EARL: Direi i miei figli, quelli veri.
E’ un caso che il rapporto tra i due, sia quello tra padre e figlio?
DAVID EARL: E’ una idea entrata tardi durante la fase di scrittura. Negli spettacoli dei club Charles era un personaggio adulto, nel film abbiamo mostrato un bambino che cresce, diventa un adolescente e vuole andare a scoprire il mondo, e il divertimento veniva da quello. In quel periodo mio figlio Angus, aveva circa 15 anni, con tutto quel che implica in termini di desiderio di fuga e di indipendenza, e l’esperienza personale è servita molto a costruire una relazione complessa, difficile. Ma alla fine, guardando il film, ho sentito che avesse una sua verità emotiva.
Cosa vi piacerebbe trasmettere al pubblico più giovane, dei figli e dei ragazzi che crescono?
DAVID EARL: Mi piacerebbe che avessero voglia di costruire delle cose, che il film catturi la loro immaginazione e faccia venire loro voglia di realizzare qualcosa, o di sviluppare delle curiosità. Io stesso continuo a sognare a occhi aperti. E’ una via di fuga importantissimo, anche per arrivare a fine giornata. Ne hai bisogno per sopravvivere.
JIM ARCHER: La vita sarebbe più grigia, senza. Spero che la gente che vedrà il film userà la propria immaginazione, anche per accettare e sentire come credibili i personaggi. La scommessa più grande del film è proprio di far sì che le persone possano prendere a cuore le sorti di un uomo che ha un rapporto con un robot fatto con una lavatrice.
Dopo uno spettacolo, un corto e un film, come continuerete?
CHRIS HAYWARD: Forse con un musical, o un fumetto, un libro per bambini…
JIM ARCHER: Abbiamo diverse idee del genere, in effetti.
CHRIS HAYWARD: Sono opzioni, ma dipenderà da come va il film!