Per un regista, un attore, poter calcare il red carpet di Cannes per presentare un film in concorso al Festival è sempre un goal dal valore inestimabile; se poi a questo mondo si ha la fortuna di chiamarsi Marion Cotillard, allora può succedere di avere addirittura due titoli in competizione. L’attrice francese è sbarcata sulla Croisette con il suo primo, Mal de Pierres, pellicola diretta dall’attrice e regista Nicole Garcia, un antipasto di ciò che avverrà invece il 19 maggio, con l’arrivo del rampollo prodigio Xavier Dolan e la sua ‘fine del mondo’.
Ispirata in maniera molto libera a Mal di Pietre, il libro dell’italiana Milena Agus, l’opera si riscopre su grande schermo in maniera molto cambiata, a partire soprattutto dal setting, spostato dalla Sardegna a un paesino sperduto nel sud della Francia. Una scelta quasi obbligata, poiché parliamo di un progetto di totale fattura francese, unico intruso Alex Brendemühl, spagnolo di Barcellona nel ruolo del marito della Cotillard. Il Premio Oscar per La Vie En Rose è Gabrielle, una donna considerata isterica, nevrotica, di facili costumi; nonostante l’ardente desiderio, è per lei difficile trovare un uomo, viene instradata in un matrimonio combinato e poi spedita in una clinica privata per curare il suo ‘mal di pietre’, un calcolo che le rende difficile qualsivoglia gravidanza. “Quando ho letto il libro, mi sono subito innamorata della storia. È così arcaica e parla di differenti sfaccettature dell’amore, che è sempre sofferto, ambiguo, proprio questi dettagli mi hanno incantato” ha detto la regista Nicole Garcia. L’amore in ogni sua declinazione dunque, capace di dare profondo piacere e un attimo dopo enorme dolore, di prosciugare ogni speranza e poi regalare magnifiche illusioni.
Tutto questo vive e respira nel personaggio di Marion Cotillard, per cui non è stato affatto facile accettare il copione: “Ci ho messo tanto a rispondere, quando ho finito di leggere per la prima volta la sceneggiatura ero piuttosto preoccupata. Ci sono molte scene esplicite, inoltre Gabrielle soffre tantissimo per diversi motivi che scoprirete nel film, io che somatizzo tantissimo ero scettica sull’accettare. Poi però mi sono innamorata della storia, anche se mi sono presa un anno di riposo Nicole mi ha aspettato. Nonostante la follia di Gabrielle, amo comunque la sua passione, vive con un costante istinto primordiale, animalesco quasi, dal punto di vista attoriale mi dava davvero molti spunti per mettermi in gioco.
È importante raccontare storie simili anche per far capire cosa significa vivere con persone affette da disturbi psichici o della personalità. È un progetto onorevole.” Ma come ci si prepara davvero per un ruolo simile? Mai pacato, mai regolare, costantemente cangiante e dinamico? “Ovviamente dietro c’è tanta preparazione, lavorare a un personaggio simile è come innamorarsi di qualcuno. L’innamoramento ha i suoi tempi, le sue pause, se tante cose avvengono in modo naturale, c’è anche una parte volontaria di me che lavora senza sosta perché io processo avvenga. Poi ci sono i registi, c’è chi parla tantissimo, chi ti dice poco e niente, chi ti fa ripetere fino alla sfinimento. La cosa importante è sempre capire a fondo il ruolo che ti hanno affidato e dargli vita, in pratica devi costruire una nuova personalità da zero. Se ho bisogno di guardare nella mia vita per costruire un personaggio? Può succedere, ma fortunatamente non è stato questo il caso.”