David O. Russell, in occasione
della promozione del suo ultimo film, American Hustle
L’apparenza inganna, approda nella facoltà di lettere
dell’Università di Roma, ‘La Sapienza’ per una chiacchierata sul
suo cinema e una lezione un po’ diversa da quelle a cui gli
studenti universitari sono abituati.
Nell’aula, insieme al professore di Storia e Critica del Cinema Maurizio De Benedictis (che ha reso possibile l’incontro) e Piera Detassis (direttrice della rivista di cinema Ciak), O. Russell porta con sé la sua esperienza nel cinema, trasferendola ai suoi uditori con estrema semplicità.
Dopo la presentazione del professor De Benedictis, che ha introdotto agli studenti l’autore, facendo una carrellata della sua filmografia e soffermandosi sull’innovazione che il regista ha saputo apportare alla nuova commedia americana, parte l’intervista, moderata dalla Detassis.
Piera Detassis: Ho letto in un’intervista che preferisci definirti autore piuttosto che regista. Cosa significa questo rispetto al cinema americano?
David O. Russel: Penso che ci siano molti differenti tipi di autore. Sergio Leone è un autore, Michael Bay è un altro tipo di autore..il tipo a cui potrei corrispondere o che vorrei essere è quello a cui piace raccontare storie che siano basate essenzialmente sui personaggi. Io faccio film principalmente sulle persone, che spesso sono divertenti e assurde, ma anche e soprattutto vere. Anche in The Fighter non ho fatto un film sulla boxe, o comunque, non lo definisco tale. Si tratta più di un film sul personaggio e sulla sua famiglia. Riguardo a Il lato positivo, poi, è un film per me molto personale perché ho un figlio che ha il disturbo della personalità bipolare, e, sebbene sia vero che è un film tratto da un romanzo, mi sento molto coinvolto. Anche il mio ultimo film ha dei personaggi che non rientrano in determinate, specifiche categorie ed è proprio questa la cosa affascinante riguardo loro.
PD: Parliamo di attori e
star. Tu sei un autore che ama lavorare con le star, mentre certi
autori sono un po’ diffidenti. Come riesci a gestirli sul
set?
DR: Io trovo che le star siano elettrizzanti, trovo i
film elettrizanti. Per me è una cosa bella quando le star dei film
fanno i miei film. Sono fortunato a essere socio di uno studio che
mi permette di fare film con queste star, perché la loro
stessa presenza mi permette di poter correre più rischi perché sono
comunque una certezza per il ritorno economico del film. Con loro
posso rischiare di fare cose nuove e posso divertirmi a farle
perché il bello è proprio vederli alle prese con qualcosa che
nessuno ha mai fatto fare loro.
PD: Sarebbe possibile senza le star fare questo tipo di cinema, il suo, a Hollywood?
DR: Sarebbe molto più difficile. Come ho detto, rispetto tutti i tipi di registi, ma credo che non potrei fare questo genere di film senza di loro (le star). Ovviamente ho iniziato senza avere queste possibilità, e ci ho messo comunque grande passione.. però per il tipo di cinema che faccio, senza di loro sarebbe tutto più ridimensionato, e sicuramente meno gente andrebbe a vedere il film. Soprattutto oggi, con la facilità di reperire film su internet, credo che l’andare al cinema debba essere un’esperienza speciale. E’ un po’ come cercare di attirare le persone sotto il “tendone”. Ed è questo che fai con gli attori a cui fai fare cose a cui il pubblico non è abituato.
PD: I tuoi personaggi femminili sono i più interessanti, i meno banali del cinema americano. Sei cosciente del fatto che stai costruendo e glorificando una nuova donna, fuori dagli schemi?!
DR: Assolutamente sì. In questa nuova fase del mio cinema sono arrivato a rendermi conto che le donne sono delle vere e proprie armi nel cinema e sono anche molto sottovalutate. In The fighter le figure femminili sono anche molto più influenti dei due fratelli. Ne Il lato positivo, il personaggio di Jennifer Lawreence, è molto interessante. Penso che le donne siano, per certi aspetti, molto più intelligenti., molto più forti degli uomini. Quindi mi piace mostrare tutte le loro sfumature, la loro sensualità, la loro forza, la loro capacità manipolatrice.
PD: E’ vera la leggenda che fa molto improvvisare gli attori sul set?
DR: No, non c’è
improvvisazione. Le sceneggiature sono molto precise a livello di
inquadrature e dialoghi. Se cambiamo qualcosa, lo facciamo insieme,
magari solo un piccolo dettaglio. Quello che per me è importante è
la percezione di aver catturato qualcosa di vivo, una realtà.
Detesto la pretenziosità, il “far finta che”, mi piace che le cose
siano reali. Non utilizzo mai luci artificiali sul set, in modo che
se entri nella stanza non ti sembra di essere su un set. Io sono
sempre presente nella stanza, con gli attori. Non vado mai al
monitor, sono sempre vicino la macchina da presa, perché ho bisogno
di sentire l’attore. Giro sempre in pellicola e non ci fermiamo
mai, se anche do indicazioni, lo faccio sempre quando la pellicola
continua a girare, in modo che l’attore si dimentichi di star
girando..deve avere l’impressione di star facendo qualcosa di vivo.
Ad esempio Robert de Niro mi ha fatto notare che aveva davvero
l’impressione di stare in qualcosa di vero, mentre
giravamo.
I: American Hustle: cosa ti ha convinto a portare sullo
schermo lo script? Perchè hai cambiato il titolo orginale, American
Bullshit?
DR: La cosa che mi ha convinto sono stati i personaggi: erano fantastici. Avevo voglia di raccontare questi personaggi sorprendenti e i guai in cui si trovano, volevo mostrare le loro varie sfumature, il tema della sopravvivenza, del reinventarsi. E riguardo il personaggio di Christian Bale, lo immaginavo non come un imbroglione, ma come una persona che aveva una curiosità verso le altre persone. Come regista volevo raccontare più dei personaggi, che degli eventi. Mi interessano i loro sentimenti, i loro amore, come vivono. Gli eventi mi servono più che altro come uno stratagemma per raccontare le persone. Ho cambiato il titolo perché American Bullshit mi sembrava molto cinico. Non sono cinico, non amo il cinismo. Forse lo ero quando ero più giovane, ma adesso non mi interessa più. Quando i sentimenti sono veri, quando i sentimenti sono intensi e reali, allora non puoi scadere nel mieloso.
Maurizio De Benedictis: Il cinema di
personaggi vuole una categoria di attori adatti a creare questi
personaggi. Come mai il sistema americano riesce ad assicurare
attori così bravi? Come si formano, nonostante sia comunque
decaduto lo star system?
DR: Credo che quello che accada oggi è che gli attori si
rivelino. Fanno film piccoli, come ha fatto Christian Bale, e poi
si dimostrano bravissimi. Christian Bale ha fatto un provino per
Three Kings, ma io non lo ricordo affatto. Lui sì, perché non ebbe
la parte. Jennifer Lawrence, ha fatto Un gelido inverno
ed ha mostrato al mondo quanto c’era di speciale in lei. Bradley
Cooper era in un certo senso sottovalutato come attore, ma io mi
sono reso conto, incontrandolo, che era una persona molto più
profonda, che aveva un’ anima e pensava come un artista. Mi
piacciono gli attori che mostrano di aver fame: Amy Adams prima
di The Fighter non aveva mai avuto un ruolo del genere.
Molti pensavano che non ce l’avrebbe fatta, ma io l’ho vista
nei suoi occhi, quella voglia di imparare, di fare. Metterli in
condizione di fare qualcosa di assolutamente nuovo e assurdo
permette anche allo spettatore di farsi prendere di più dal
personaggio.