Il ritorno di Silvio Soldini alla commedia raccontato dal regista e dal suo cast

Silvio Soldini ha presentato presso il cinema The Space Moderno di Roma la sua ultima fatica, un ritorno alla commedia ad otto anni da Agata e la tempesta dopo due lavori che definisce “dallo stile quasi documentaristico” come Giorni e nuvole e Cosa voglio di più. Con lui, una nutrita rappresentanza del cast artistico e tecnico del film.

 

Potremmo definire questo lavoro una commedia morale, un’opera morale?

Silvio Soldini: “(…) Dopo due film drammatici, come Giorni e nuvole e Cosa voglio di più, avevo voglia di riprendere un po’ di distacco, leggerezza, ironia. (…) Volevo anche, attraverso la commedia, cercare di dire le cose un po’ più direttamente rispetto ad altre volte. Perché in fondo le altre mie due commedie, Pane e tulipani e Agata e la tempesta, sono sicuramente meno coinvolte da questo punto di vista. È l’entrata in gioco delle statue che forse ha portato con sé quest’elemento “morale”: è un’idea che mi è venuta in treno, di ritorno da uno degli incontri di sceneggiatura. (…) Mi sono ricordato di un film di Alain Tanner, Jonas che avrà vent’anni nel 2000,  dove c’era la statua di Rousseau che parlava, e da lì ho cominciato a pensare di utilizzare quest’elemento”.

Agli attori, come vi siete trovati a lavorare con dei dialetti e delle cadenze che non sono le vostre?

Luca Zingaretti: “La difficoltà del film non era tanto quella del dialetto ma più che altro quella di trovare la cifra stilistica del film, che Silvio aveva ben chiara, io un po’ meno, all’inizio. In un film in cui le statue parlano,  bisogna un po’ intonarsi a tutto. (…) Qui si parla della realtà, ma su un piano traslato.

Valerio Mastandrea: “Mi sono trovato bene a fare il napoletano. Era uno dei miei sogni nel cassetto, perché lo ritengo uno dei modi di parlare, esprimersi ed essere più complessi e affascinanti del nostro paese. È stata una scelta casuale. Io avrei dovuto essere di una città del nord. Dopo aver provato un po’ di modi di parlare (…), ho proposto il napoletano (abbiamo parlato de La livella)”.

Alba Rohrwacher commenta così il lavoro sul dialetto del suo personaggio: “La lingua che parla Diana è un accento del nord molto generico. (…) Rispetto a Giorni e nuvole e Cosa voglio di più, dove si trattava di trovare una cadenza genovese e milanese molto realistica, qui siamo partiti dall’idea di un veneto, che però è diventato più un veneto nella mia fantasia”.

Claudia Gerini: “Avrei voluto fare il napoletano, perché sono la moglie di Leo (…) Però Silvio ci teneva che Teresa fosse genovese, era partito da lì. Genova è una sua città del cuore. Io mi trovo abbastanza bene col genovese (…). L’avevo già fatto tanti anni fa (…), conosco Genova, è una città che amo”.

Giuseppe Battiston parla del suo personaggio, Amanzio, ispirato a un parente di Doriana Leondeff, sceneggiatrice del film assieme a Soldini e Marco Pettenello. Viene dall’est e su di lui ci siamo interrogati a lungo. All’inizio pensavo di lavorare su una persona straniera, che venisse da un altro paese e avesse imparato l’italiano. Andava comunque cercato nel personaggio qualcosa che ricordasse l’est. Io vengo dall’est Italia. (precisamente da Udine ndr). Ho cercato di costruire un linguaggio che comprendesse tutte le storture della gente del mio posto. Per far questo ho chiesto anche consiglio a un’amica attrice, che è di Trieste.”

Maria Paiato, che interpreta Cinzia, la segretaria dell’avvocato Malaffano: “Anch’io come Alba ho creato un dialetto del nord generico” ispirato, dice, un po’ al Veneto, un po’ all’Emilia Romagna, qualcosa di vicino al suo paese d’origine, Occhiobello. Perciò, dal punto di vista linguistico, “è stato come giocare in casa”. La stessa cosa non si può dire circa la costruzione estetica del personaggio, che spicca per i suoi vistosi abiti leopardati: “C’ho dovuto fare un attimo amicizia, non sono abiti che frequento, ma erano molto pertinenti e sono stati anche un grande aiuto per la verve di questo personaggio.”

A Doriana Leondeff, il suo sodalizio con Soldini è lungo, come lavorate? Scrivete insieme o separatamente? Negli anni è cambiato il vostro metodo?

Doriana Leondeff: “Ci sopportiamo reciprocamente da diciassette anni, ma abbiamo avuto il buon senso e la ragionevolezza di introdurre un terzo sceneggiatore (…). Abbiamo collaborato con Francesco Piccolo, Angelo Carboni e in quest’ultimo film con Marco Pettenello. Loro, a loro volta, devono avere molta pazienza a sopportare me e Silvio, che per certi versi siamo come una vecchia coppia di bisbetici. (…) Il modo di lavorare cambia tantissimo di film in film, anche perché altrimenti sarebbe molto noioso; poi abbiamo fatto film molto diversi tra loro e questo è bellissimo, oltre che non così frequente nel cinema italiano.”

Vedendo il film ci si aspetterebbe un’evoluzione del rapporto tra Mastandrea e la Rohrwacher, invece dall’incontro nella casa da acquistare si passa quasi direttamente al finale, c’è stato qualche taglio al montaggio o è stata una scelta precisa?

S. S.: “E’ stata una scelta precisa. Sul finale inizia una storia tra Leo e Diana, che abbiamo visto due o tre volte insieme nel corso del film. Non è stato tagliato niente”.

L’uso degli effetti speciali e l’incursione nel fantastico voleva essere un tentativo di coniugare l’aspetto scenico dei film americani, anche fantastici, col bel cinema italiano (in particolare penso a Fantasmi a Roma e Le avventure di Pinocchio di Comencini)?

S.S. : “Non siamo partiti da quei film, non avevamo riferimenti così precisi in mente, né siamo tornati a vedere film di questo genere. (…) Forse il personaggio della cicogna è quello che dà la cifra al film, lo sguardo sopra a tutto. La voglia di innalzarsi, di volare sopra a tutto: alle notizie, a ciò che leggevamo mentre cercavamo questa storia, alla volgarità imperante in cui tutto sguazzava” e di farlo “con ironia, poesia e con uno sguardo diverso dai precedenti, riuscendo a far coesistere due mondi così diversi come il reale in cui viviamo e un mondo fantastico in cui pure le statue potrebbero dire la loro”.

Nicola Maccanico di Warner Bros Italia, che distribuisce la pellicola, parla dell’importanza del progetto: “Siamo al terzo film con Soldini e Cerri (Lionello Cerri, produttore del lavoro ndr). (…) Ci teniamo molto. (…) Crediamo che il film raccolga il meglio delle esperienze precedenti di Soldini. Ha un respiro, ma anche una profondità, che possono renderlo fruibile da un pubblico più sofisticato, come da chi apprezza una cinematografia un po’ più popolare. È l’ennesimo passo che rappresenta il nostro impegno accanto al cinema italiano. I dati di quest’anno non sono meravigliosi, ma (…) un pubblico c’è, indipendentemente dalle fluttuazioni annuali di mercato (…). Come Warner, crediamo sia utile continuare a lavorare in questa direzione, perché attraverso la crescita del cinema italiano può crescere il mercato in generale. Il cinema americano è forte e solido, ma un buon cinema italiano può aiutarlo”.

Quanto la realtà politica, coi suoi scandali, ha influenzato la sceneggiatura? Anche se la realtà che appare qui sembra essere migliore di quella quotidiana in cui viviamo.

S.S: “Dico che il film è nato da una voglia di volare sopra tutto questo, proprio perché non volevamo raccontarlo direttamente, altrimenti sarebbe venuto fuori un film grottesco. (…) Volevamo, invece, qualcosa di più lieve. (…) Il personaggio dell’avvocato Malaffano rappresenta un po’ quello a cui lei fa riferimento ma, per il resto, il nostro interesse di sceneggiatori è stato quello di raccontare dei personaggi un po’ più puri, che continuano ad avere dei valori che in questo mondo mi sembra si stiano perdendo. (…) C’è un paesaggio in cui avviene questa storia, (…) ma è un po’ accennato”.

E riguardo agli scandali e alla realtà politica attuale del paese, Doriana Leondeff li mette in prospettiva storica: “Garibaldi scrive cose molto amare nelle sue memorie (gli viene chiesto di entrare in Parlamento e partecipa a una legislatura). Se non fosse per il linguaggio antiquato, quelle cose potrebbero essere state scritte oggi. Ne siamo rimasti molto colpiti. Quindi quella tradizione in questo paese (…) è consolidata”.

Circa la scelta di Pierfrancesco Favino, Gigio Alberti e Neri Marcorè per dare voce alle statue, Soldini risponde che i primi due “sono degli amici con cui ho già lavorato”, mentre Marcorè mi è venuto in mente perché è nato a qualche chilometro da Recanati. (…) Il tutto è stato anche molto ridicolo, non lo avevano mai fatto”.

Cerri, ci dica della sua collaborazione con Soldini.

Lionello Cerri: “È il quinto film in cui collaboriamo, quindi c’è conoscenza e condivisione. Quando Silvio porta un’idea, un soggetto, una sceneggiatura, mi ci rivedo, nei temi, nelle idealità e questa è una cosa importante”.

La pellicola sarà nelle nostre sale dal prossimo 18 ottobre in 250 copie.

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