Sanctuary, incontro con il regista Zachary Wigon

Sanctuary film 2022

Sanctuary parla di potere, di possesso, di controllo, lo fa attraverso il racconto della relazione tra Rebecca, una dominatrice di professione, e Hal, suo cliente. Il loro rapporto però potrebbe essere minato, subire delle modifiche a causa della loro natura, terribilmente umana, imperfetta e imprevedibile.

A raccontare la storia c’è Zachary Wigon, al suo secondo lungometraggio, che abbiamo incontrato in occasione della Festa del Cinema di Roma 2022, dove ha presentato il suo film. E partiamo dunque dal titolo: Sanctuary è “il santuario”, un “luogo in cui ci si sente al sicuro dalle pressioni esterne – dichiara il regista – E tutto il film è ambientato in uno spazio interno, circoscritto, per questo doveva essere un luogo sicuro, anche nel titolo.”

Sanctuary racconta anche di un gioco di ruolo, che è una pratica molto simile a ciò che fanno gli attori in scena e al criterio intorno a cui ruota tutta la macchina del narrare storie al cinema.

“L’idea centrale di partenza in fase di scrittura era quella di considerare il fatto che a volte siamo in grado di avere accesso ad una versione di noi più vera attraverso il gioco rispetto a quanto non accada nella vita reale. È un concetto che ha sempre trovato molta risonanza in me – ha spiegato Wigon – Penso a David Bowie che aveva dichiarato che si sentiva più se stesso mascherato da Ziggy Stardust rispetto a quando era se stesso nella vita reale. Queste erano alcune delle considerazioni nella mia mente mentre lavoravamo alla storia. In merito ai giochi di ruolo e al rapporto con la recitazione è che non credo sia il mio ruolo stabilire di cosa parla il film, ma credo che ci siano delle linee comuni tra il giocare di ruolo e il recitare.”

La genesi del progetto si deve a una serie di conversazioni che il regista ha avuto con Micah Bloomberg, lo sceneggiatore. “Ci siamo chiesti sin dall’inizio chi sarebbero stati Hal e Rebecca, che caratteristiche avrebbero avuto e come avrebbero reagito a determinate cose. Da questo confronto è nata la sceneggiatura e la definizione dei personaggi e solo con lo script tra le mani siamo andati da Christopher Abbott e Margaret Qualley.”

Sanctuary gioca moltissimo con i toni e con i generi. Sebbene si ascriva da subito alla categoria del thriller psicologico-erotico, si rivela presto come un’interessante commistione di generi, sfociando addirittura nella commedia romantica.

Questo accade, secondo Wigon, perché la commedia e il thriller sono due generi connessi, che si parlano in diversi momenti della storia del cinema e che lui voleva cucire insieme: “Credo che ci sia un tessuto comune tra screwball comedy e thriller psicologico-erotici e credo che la cosa più interessante per questo film sia stata cavalcare proprio questo confine. Volevamo fare di Sanctuary una corsa sulle montagne russe, in modo tale da creare appeal per il pubblico e generare una serie varia di emozioni.”

Il film si avvale di una messa in scena molto particolare e distintiva, una sola suite d’albergo, con più ambienti, con pochissime finestre, sempre tenute chiuse e pareti dai colori molto saturi. Così racconta le scelte stilistiche di fotografia e scenografia Wigon: “Quello che volevo dall’inizio era trovare un posto in cui non ci fossero troppe finestre. Negli USA è comune per gli alberghi moderni avere intere pareti di vetrate, ma con tante finestre si perde il senso di claustrofobia che volevo mantenere per tutta la storia. Quindi la mancanza di finestre era una caratteristica precisa che cercavo.

Poi avevo ben presente il fatto che un film ambientato solo in una stanza d’albergo doveva poter scivolare tra le parti di questa stanza in maniera organica, perché mantenere invariata la stessa location avrebbe reso il film noioso. Ero consapevole quindi che dovevo creare una progressione tra gli spazi e le stanze in cui i due personaggi agivano. È stata una scelta deliberata quella di farli spostare costantemente tra le stanze della suite. Sapevo anche che tutto dovesse essere intensamente colorato. La suite è lo specchio di una sensibilità molto intensa, e per rappresentare questo elemento visivamente, doveva essere tutto molto saturo, e così i colori delle pareti e della luce sono così intensi.”

Un risultato raggiunto grazie al contributo decisivo di Ludovica Isidori, direttrice della fotografia, che è riuscita a far dialogare la luce del film con le intenzioni artistiche del regista in maniera splendida, contribuendo a fare di Sanctuary un piccolo gioiello, che arriverà prossimamente nelle sale italiane distribuito da I Wonder Pictures.

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