100 metri dal paradiso: recensione del film

100 metri dal paradiso film

In 100 metri dal paradiso Monsignor Angelo Paolini (Domenico Fortunato) è esperto in comunicazione e ha un’idea fissa: svecchiare l’immagine e il linguaggio della Chiesa per renderla più interessante, cosicché la gente vi si avvicini. Per far ciò, si prodiga nei modi più disparati, incontrando non poche resistenze tra i suoi superiori più tradizionalisti. Finché un giorno, l’idea geniale: far partecipare il Vaticano a un importante evento sportivo e mediatico: le Olimpiadi di Londra 2012.  Quest’idea arriva per caso, quando un suo vecchio amico, Mario Guarrazzi (Jordi Mollà) – ex campione dei cento metri, ma mai qualificatosi ai giochi olimpici – gli rivela che suo figlio Tommaso, anche lui centometrista, vuole abbandonare gli allenamenti per la qualificazione olimpica e lo sport per farsi frate. La Nazionale Olimpica del Vaticano appare così ad Angelo il modo migliore per tenere insieme sport e fede e aiutare l’amico, che ha riposto tante speranze e aspettative nella carriera sportiva del figlio. Da qui ha inizio l’avventura che porterà l’intraprendente monsignore a mettere insieme una squadra olimpica bislacca e variopinta, in grado di gareggiare per le Olimpadi 2012.

 

100 metri dal paradiso, il film

L’idea della Nazionale Olimpica Vaticana è strampalata quanto azzeccata e si rivela efficace. Consente infatti agli sceneggiatori (il regista della pellicola Raffaele Verzillo, assieme a Pier Francesco Corona e Salvatore De Mola) di sbizzarrirsi nel mettere insieme un gruppo eterogeneo e basare sulle sue individualità spesso agli antipodi e complessivamente ben caratterizzate il meccanismo comico. Su tutti spicca  senz’altro il personaggio del fisioterapista/preparatore atletico Ottavio, interpretato da Giorgio Colangeli, attore che spesso in questi anni abbiamo visto offrire eccellenti prove in ambito drammatico, ma che qui dimostra di reggere ottimamente anche ruoli comici. Da citare senz’altro anche altre caratterizzazioni che funzionano bene: quella di padre Livio (Enzo Garinei), quella dell’assillante industriale Montolina (Luis Molteni), del segretario Liborio (Angelo Orlando), di alcuni religiosi-atleti come il prete di strada Padre Rocco (Gennaro Silvestro), o Suor Adele (Chiara Rosa, vera primatista nel getto del peso). Questi personaggi vengono resi attraverso pochi tratti distintivi del loro modo di essere, o alcune battute chiave che spesso pronunciano. Il che funziona, lo dicevamo, per i ruoli non di primo piano.

Per quanto riguarda i personaggi principali, invece, ci saremmo aspettati forse qualcosa di più. Perché è soprattutto attraverso di loro che il regista mettere sul piatto temi importanti e meritevoli di approfondimento. Primo fra tutti quello attorno a cui ruota tutto il film: il rinnovamento della Chiesa di cui Angelo avverte la necessità e l’urgenza, ma che è puramente formale, d’immagine, non di contenuti. Questa sua convinzione non viene mai messa in dubbio, o scandagliata neppure di fronte alle obbiezioni della sorella, una brava Giulia Bevilacqua. Angelo è ottimista, sa sempre cosa fare, cos’è giusto, mentre sua sorella è un po’ pasticciona, e ancora in cerca di una piena realizzazione. Ma a parte questo gioco di opposti, chi sono questi due personaggi? La lente del regista resta in superficie, li osserva bisticciare e far pace perché in fondo, e questo è l’importante, si vogliono bene. Lo stesso può dirsi della coppia formata da Angelo e dal suo amico d’infanzia Mario Guarrazzi: giocano un po’ come il gatto e il topo, si becchettano ma alla fine sono uniti.

A Mario e al figlio Tommaso (Lorenzo Richelmy) è affidato poi un altro tema che il film ci propone, ma risolve forse un po’ troppo semplicemente: quello del rapporto padre-figlio e in particolare delle aspettative spesso eccessive che i genitori riversano sui figli, condizionando anche pesantemente la loro vita. Mario proietta sé stesso su Tommaso, gli interessa esclusivamente che suo figlio gareggi e arrivi dove lui non è arrivato. Ma non ostacola la sua scelta di farsi frate. Inoltre, se sport e fede paiono inizialmente inconciliabili, arriva poi provvidenziale l’idea di Angelo  che li riunisce, evitando strappi troppo duri. Tra padre e figlio non ci sono mai veri e aspri confronti. Non vediamo neppure come Tommaso vive la vocazione nel rapporto coi suoi coetanei. L’ottica che emerge è quella dei buoni sentimenti, delle tensioni (sempre lievi) che si ricompongono in nome dell’amore e dell’amicizia, evidente anche in qualche scivolata retorica dei dialoghi.

Ne risulta una commedia da tranquillo salotto casalingo. E d’altronde, il regista Verzillo ne sa, visto che ha lavorato a Un medico in famiglia 6 e 7 e ad altre fiction. Una commedia con buoni meccanismi comici, per far sorridere e divertire, e per la quale Verzillo ha chiamato a raccolta proprio diversi volti noti delle fiction tv – Giulia Bevilacqua (Distretto di Polizia), Gennaro Silvestro (La Squadra), Lorenzo Richelmy (I Liceali), Milena Miconi (Don Matteo), tra gli altri. Una commedia che piacerà alla Chiesa, perché la tiene lontana dalle sue ombre, dai clamori delle cronache e dagli scandali, ricordando agli spettatori il suo volto più umile e vicino alla gente (a onor del vero, regalandole anche un paio di scene e battute quasi  da spot pubblicitario). Un lavoro, però, privo di quel graffio, di quell’ironia che fa riflettere e che al cinema ci aspetteremmo di più. Sarà nelle sale da venerdì 11 maggio in 150 copie, prodotto da Scripta e Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution.

 

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