Abracadabra: recensione del film di Pablo Berger #RomaFF12

Abracadabra

Una commedia nera in salsa aioli, l’intingolo che fa litigare le coppie. Un gazpacho sballato, come quello di Donne sull’orlo di una Crisi di Nervi, che mescola generi cinematografici e cita tanti autori, da Alex De La Iglesia a Pedro Almodovar, ma anche in maniera bizzarra e irriverente lo Scorsese di Taxi Driver,  o ancora  La Febbre del Sabato Sera e L’esorcista. O come la definisce il regista Pablo Berger, Abracadabra è una commedia ipnotica.

 

In un barrio popolare alla periferia di Madrid, Carmen e Carlos portano avanti in maniera stanca e senza un via di uscita il loro matrimonio. Hanno una figlia adolescente, fissata con Madonna e dai modi alquanto veraci. Carlos è un autentico bifolco, che fa del calcio una ragione di vita e che non degna Carmen neanche di uno sguardo. Lei è una bella donna, devota al marito, ma avrebbe certamente sognato una vita completamente differente. Un giorno, obbligato dalla moglie a partecipare a un matrimonio, Carlos si sottopone ad un esperimento di ipnosi. Si offre volontario per beffarsi del cugino di Carmen, Pepe, da sempre invaghito della donna e mentalista dilettante.

Durante lo spettacolo però succede qualcosa di totalmente  imprevisto, che movimenterà non poco la grigia esistenza di Carlos, Carmen e Pepe.

Pablo Berger è tra i nuovi registi spagnoli da tenere attentamente d’occhio. Il suo Blancanieves (2012), vincitore di dieci premi Goya, era un vero gioiello cinematografico, diverso dalle tante altre trasposizioni della fiaba dei Grimm. Completamente muto, con i sette nani toreri, in un bianco e nero annegante, che ricordava i chiaroscuri della Quinta del Sordo di Goya o le sue incisioni. Originale e colto, con riferimenti e suggestioni che andavano da Louis Bunuel a Guillermo del Toro.

Con Abracadabra Berger spiazza, perché la confezione è apparentemente assai simile a molte pellicole di Alex De La Iglesia, come La Comunidad o Crimen Perfecto. D’altronde aveva esordito proprio al fianco di De La Iglesia. Però mantiene poi una sua straniante originalità e organizza la baraonda cafona dei tanti personaggi con eleganza, puntellando il grottesco con inquadrature che lasciano interdetti, composte con una prospettiva particolare, una simmetria ricercata, inusuale a una commedia; arriva addirittura a inserire dei time-lapse sul traffico caotico di Madrid, per dare un’idea visiva dello scorrere del tempo.

Abracadabra è pieno di trovate e invenzioni bislacche, come i churros cosparsi di zucchero che divengono oggetto del desiderio, le mutande di superman infilate a forza ad un moribondo, la coppia erotomane che ricostruisce fedelmente le esposizioni dell’Ikea, l’agente immobiliare che inscena l’agghiacciante ricostruzioni di un omicidio.

Gli attori sono azzeccatissimi, ben concertati e caratterizzati alla perfezione, sia nei volti che nell’abbigliamento e sono inseriti in un contesto kitsch ormai divenuto stilema di una nuova onda di commedia grottesca iberica. Maibel Verdù spicca su tutti e riesce ad alternare una gamma infinita di registri recitativi, muovendosi con naturale disinvoltura dalla commedia al dramma, tuffandosi a capofitto anche nel sovrannaturale, senza mai perdere di credibilità.

Abracadabra è una baraonda chiassosa e colorata, che diverte etiene incollati allo schermo, talmente assurda e imprevedibile da non lasciare mai nulla per scontato. È autentico cinema “cabrón”, e funziona!

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