Alex Garland, al suo secondo film da regista dopo Ex Machina, confeziona nuovamente un’opera di fantascienza che si discosta dai prototipi del genere, accompagnando alla materia scientifica quella filosofica. Annientamento è tratto dal romanzo di Jeff VanderMeer, primo capitolo di una trilogia.
Tutto ciò che sappiamo è che sulla terra è venuto a formarsi un ecosistema, circoscritto da una particolare membrana luminescente, abitato da forme aliene. Tutte le squadre di militari inviate in perlustrazione nel corso degli anni, non hanno fatto ritorno. L’unica eccezione è costituita da Kane (Oscar Isaac), riuscito a tornare a casa dalla moglie Lena (Natalie Portman), una biologa specializzata nello studio dei tumori. Ma l’uomo, distante e passivo, non sembra essere più lo stesso. Il desiderio di fare chiarezza sulla vicenda condurrà Lena a prendere parte ad una successiva spedizione costituita esclusivamente da donne attive in ambito scientifico. Man mano che ci si inoltra all’interno dello sconosciuto territorio alieno, il coefficiente di decriptazione di tutto ciò che viene percepito come extraterrestre, diventa sempre più elevato.
Ben presto il luogo fisico, grazie anche alla fotografia diafana di Rob Hardy, perde i propri connotati materiali per diventare cornice di un percorso spirituale. Redenzione o autodistruzione. Sono queste le due opzioni che le protagoniste hanno la possibilità di perseguire. In un mondo in cui sogno e incubo si mescolano l’uno all’altro, ciò che conta è la motivazione che anima il viaggio. Ci si trova all’interno di un intenso e spaventoso ciclo della vita, in cui ha un rilevante peso specifico il concetto di moltiplicazione cellulare.
Come sottolineato da Lena, interpretata da una Natalie Portman perfettamente a fuoco nel suo ruolo, le nostre cellule sono predisposte all’errore, all’autodistruzione, e l’esperienza vissuta dai personaggi sembra confermare questa tesi. Tutto ciò che avviene ed esiste all’interno della cosiddetta Area X, è frutto del riflesso degli elementi costituitivi del mondo esterno, filtrati dal bagliore che avvolge l’intero perimetro contaminato, che distorce le forme e conferisce nuovi significati. Questo gioco di rifrazione è implementato dai continui flashback che procedono discontinuamente lungo tutto l’arco della narrazione e che ricostruiscono parte della vita di coppia della protagonista, nei suoi alti così come nei suoi bassi.
A momenti eterei si alternano episodi bui, che procedono di pari passo all’esperienza extrasensoriale di Lena, accompagnata da una colonna sonora che poco alla volta volge dall’acustico all’elettronico. D’altra parte la trasformazione, il movimento, il cambiamento, sono alla base del film stesso. Rivelano la natura di una narrazione che nella sua lentezza, non può prescindere da un forte dinamismo.