Barbarossa: recensione del film di Renzo Martinelli

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Negli ultimi anni il cinema storico ha regalato grandi opere capaci di unire intrattenimento e rievocazione, offrendo epica e spettacolo insieme. Con Barbarossa, Renzo Martinelli tenta la stessa strada, affrontando un personaggio imponente della Storia europea e un evento simbolico per l’Italia medievale. Le ambizioni erano alte, i mezzi economici ingenti, e persino la tecnologia era dalla sua parte, con l’uso della crowd replication per ricreare grandi masse di combattenti. Tuttavia, il risultato non è all’altezza delle aspettative: un film pretenzioso e confuso, che finisce per deludere profondamente lo spettatore.

Invece di costruire un racconto coeso e avvincente, Martinelli propone una narrazione spezzata, affidata a un montaggio discontinuo che alterna momenti statici a scene risolutive trattate in modo frettoloso. La durata di 139 minuti diventa così un ostacolo, più che un’opportunità, trasformando l’epica promessa in un’esperienza lenta e poco coinvolgente.

Una regia debole e una sceneggiatura senza anima

La debolezza principale di Barbarossa risiede nella scrittura. L’intreccio appare sfilacciato, privo di consequenzialità interna, incapace di restituire il respiro epico che una storia simile avrebbe meritato. Martinelli, reduce dall’esperienza di regista di videoclip, sembra replicarne i limiti: scene che funzionano singolarmente ma che non dialogano tra loro, incapaci di costruire un ritmo narrativo coerente.

Anche le scelte visive tradiscono l’inesperienza del regista nell’uso degli strumenti digitali. L’uso del ralenti, reiterato senza giustificazione narrativa, appesantisce ulteriormente il racconto. Persino le sequenze di battaglia, cuore pulsante di ogni film storico, appaiono poco credibili: il sangue digitale della battaglia di Legnano si rivela artificioso e innaturale, un effetto che allontana invece di coinvolgere lo spettatore.

Interpretazioni altalenanti tra nomi internazionali e attori italiani

Sul piano recitativo, Barbarossa mostra un forte squilibrio. Gli attori internazionali Rutger Hauer e F. Murray Abraham conferiscono autorevolezza ai loro ruoli, dimostrando solidità e professionalità. Al contrario, il cast italiano fatica a reggere il confronto. Kasia Smutniak, impegnata in un ruolo complesso, appare ripetitiva e monocorde, mentre Raz Degan sembra caratterizzare il proprio personaggio quasi esclusivamente attraverso il progressivo disordine dei capelli, unico segnale del passare del tempo.

Questa disomogeneità mina ulteriormente la credibilità del racconto, impedendo allo spettatore di immergersi pienamente nella vicenda. Il contrasto tra interpretazioni convincenti e prove poco incisive diventa evidente e penalizza il coinvolgimento emotivo.

Comparto tecnico e colonna sonora senza respiro epico

Nemmeno il comparto tecnico riesce a risollevare l’opera. Le musiche di accompagnamento risultano anonime e prive di quella potenza evocativa necessaria a sottolineare il pathos della lotta per la libertà dei Comuni lombardi. L’uso della tecnologia digitale, pur innovativo per il cinema italiano, non viene sfruttato appieno: la crowd replication non restituisce l’impatto spettacolare che ci si sarebbe potuti aspettare, mentre le scelte estetiche finiscono per impoverire le scene più importanti.

Martinelli mostra coraggio nel tentare strade nuove, affrontando temi storici raramente trattati dal cinema italiano, lontani dai drammi intimisti o dalle commedie leggere. Tuttavia, il valore dell’idea non si accompagna a una realizzazione all’altezza. Barbarossa finisce così per essere un’occasione mancata, un passo falso che si aggiunge al non brillante Carnera.

Barbarossa
1.5

Sommario

Barbarossa di Renzo Martinelli è un kolossal ambizioso ma confuso: nonostante mezzi e attori internazionali, il film delude per sceneggiatura e regia debole.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice e Direttore Responsabile di Cinefilos.it dal 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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