“Io sono Giuda Ben-Hur. Io sono già parte di questa tragedia!”. Sicuramente la battuta più celebre del più spettacolare e amato dei peplum che, sia in termini economici sia produttivi, rappresenta ancora oggi una delle più grandi imprese cinematografiche mai portate a termine. Cinquantasette anni fa William Wyler riuscì a trasformare l’omonimo romanzo di Lee Wallace in uno dei migliori film di tutti i tempi; adesso, Timur Bekmambetov (Wanted – Scegli il tuo destino) porta per la quinta volta la storia del principe ebreo Giuda Ben-Hur sul grande schermo, in un disastroso riadattamento che proprio nei suoi intenti tradisce quella che è stata una delle più complesse invenzioni drammaturgiche di Hollywood.

 

La sceneggiatura del nuovo Ben-Hur, scritta da Keith Clarke e John Ridley (premio Oscar per 12 anni schiavo) pone al centro la storia della grande amicizia che si trasforma poi in odio tra Giuda e Messala, utilizzando assurdi toni svenevoli e sacrificando totalmente la componente tragica e morale che rende incomparabile il capolavoro di Wyler. Bramosia di potere, desiderio di vendetta e ricerca dei legami affettivi – ossia i punti cardini che costituiscono non solo la crescita emotiva di Ben-Hur ma anche la parabola religiosa dell’intera storia – sono tematiche che vengono affrontate con aberrante superficialità, lasciando così che i conflitti del protagonista fatichino a convergere in un’epica imponente e solenne.

Ben Hur: la rivoluzione ha inizio

Dal punto di vista tecnico, la regia di Timur Bekmambetov confonde e infastidisce, perennemente in bilico tra dinamismo dell’azione e linguaggio cinematografico ricco di ingiustificate soggettive, chiaramente contaminato dall’ultima produzione del regista kazako (il recente Hardcore! dovrebbe suggerirvi qualcosa), che lascia lo spettatore disorientato. Ne risente anche la messa in scena, che si sforza di trovare un’ideale mescolanza tra magnificenza, eleganza scenografica e ritmo, senza mai riuscirci.

Neanche il cast riesce a risollevare le sorti del film: Jack Huston non ha il fascino, i muscoli e soprattutto l’ispirazione di Charlton Heston; Tobey Kebbell è ormai uno dei villain più ambiti, ma la sceneggiatura non gioca a favore dei contrasti del suo Messala; il Gesù di Rodrigo Santoro non assolve la funzione di deus ex machina che aveva nell’opera originale, mentre lo sceicco Ilderim – inspiegabilmente – diventa nelle fattezze di Morgan Freeman un personaggio ridicolo e caricaturale.

Ben HurDistaccandosi dal classico che tutti conosciamo per intenzioni, tono e interpretazioni (ma anche per l’imperdonabile finale), il Ben-Hur di Bekmambetov conferma l’insensato accanimento da parte delle major – ormai privo di qualsiasi motivazione – di voler rispolverare cult che andrebbero lasciati inviolati per lo spettacolo, l’avventura e l’emozione che sono stati in grado di regalare, e che – fortunatamente – vivranno sempre lucidi nella nostra memoria.

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