Benvenuti a Marwen, recensione del film di Robert Zemeckis

Benvenuti a Marwen

Maestro di viaggi di fantasia, ma mai troppo distanti dalla realtà, Robert Zemeckis torna al cinema con una nuova avventura fantastica, che ci porta a Marwen, una immaginaria cittadina del Belgio assediata dai nazisti, durante la Seconda Guerra Mondiale. In Benvenuti a Marwen, il regista di Ritorno al Futuro parte da una storia vera e racconta la fatica di una risalita, dopo il tonfo e il dolore di una profonda caduta.

 

Mark Hogancamp è un fotografo e un artista, che dopo una violenta aggressione a opera di cinque omofobi perde tutta la memoria della sua vita precedente e fatica a rimettersi in piedi, diventa dipendente dalle sue medicine e si inventa un posto dove poter curare la sua anima fatta a pezzi, la sua mente a cui è stato strappato il passato e anche il suo fisico, malridotto e ancora convalescente dopo il coma. A questo posto attribuisce un nome, Marwen, una popolazione, il soldato Hoggie e la sua squadra di soldatesse che sembrano provenire da tutto il mondo, e dei nemici da combattere, cinque soldati tedeschi. Hoggie è il salvatore e l’eroe della città, protegge le soldatesse e ogni volta sconfigge i nemici che puntualmente si rianimano, pronti per una nuova battaglia.

Si scopre presto che nel racconto di Zemeckis, come accaduto nella realtà a Hogancamp, che è stato aggredito nel 2000, Hoggie è un alter ego, un pupazzo su cui il protagonista riversa le sue paure ma anche le sue aspettative e i suoi desideri, tanto che quando arriva una nuova vicina, Nicol, e Mark si infatua di lei, la sua soluzione è quella di far sposare Hoggie con una nuova bambola, di nome… Nicol. Hoggie è il salvatore, il leader e il centro di Marwen, la sua speranza.

Il percorso lento verso la risalita ci porta in un mondo senza antefatto, così come la memoria di Mark che è stata cancellata dall’aggressione. Anche noi siamo proiettati nel suo eterno presente, senza una spiegazione che ci contestualizzi la sua situazione, ma soltanto un progressivo scoprire ciò che è accaduto attraverso le sue crisi e attraverso le donne che popolano il suo mondo, le stesse donne che diventano bambole, con cui lui gioca, che protegge e con cui “si cura”.

Zemeckis sembra quasi essere il protagonista, sembra quasi che il regista trovi nel cinema e nella creazione dell’immagine, una cura, una via per rigenerarsi. E lo fa mescolando la live action con i toni fantastici e con la motion capture, il cui utilizzo ha perfezionato nei suoi tre film realizzati con questa tecnica.

Dal canto suo Steve Carrell, protagonista assoluto di Benvenuti a Marwen, riesce ancora una volta a sorprendere, e come spesso accade agli attori di grande talento, riesce a trasmettere maggiore empatia con ruoli del genere, che hanno “pochi mezzi” esteriori, niente trucco o protesi per cambiare fisionomia, ma soltanto l’intensità e la delicatezza di un interprete poliedrico.

Benvenuti a Marwen ci accoglie in un mondo spezzato che cerca faticosamente, attraverso la fantasia, di rimettersi insieme, di ricucirsi da solo. Nonostante il grande amore e la compassione da cui è sempre circondato il protagonista, il suo è un cammino solitario e doloroso, ma coraggioso ed emozionante.

Il trailer di Benvenuti a Marwen

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