Di City of Lies – L’ora della verità se n’è parlato spesso nell’ultimo periodo, non tanto del film, quanto delle vicende che gli sono ruotate intorno e che hanno visto protagonista Johnny Depp. Lo scorso luglio, l’attore americano era stato citato in giudizio per una presunta aggressioni ai danni di Gregg Brooks, l’ex location manager sosteneva che Depp lo avesse colpito per due volte alle costole.
Dopo aver avuto qualche problema produttivo a seguito di questo incidente, il progetto è stato bloccato in via preventiva negli Stati Uniti, mentre in Italia usce il 10 gennaio del 2019, in anteprima mondiale, grazie a Notorius Pictures.
In City of Lies – L’ora della verità Depp interpreta Russell Poole, un ex detective che ha dedicato la sua vita ad un caso che ha mai visto la luce in fondo al tunnel e che riguarda due omicidi che sembrano collegati tra loro: quelli delle due star del rap, Tupac Shakur e The Notorius B.I.G., avvenuti alla fine degli Novanta in circostanze misteriose. Nei vent’anni trascorsi tra gli omicidi e il tempo presente, anni fatti di tormenti personali e relativi al cold case, Poole riceve la visiva di un reporter dell’ABC, che ai tempi degli omicidi riuscì a dare delle teorie valide alla risoluzione del caso, vincendo anche un Emmy Award.
Il film di Brad Furman (The Lincoln Lawyer) non lavora sul patteggiamento, non racconta fazioni: semplicemente, racconta gli avvenimenti per quello che sono stati, lasciando allo spettatore il compito di tirare le proprie conclusione della vicenda. Una vicenda, dato che i due omicidi sono collegati, che porta alla ribalta altre vicende decisamente rilevanti, ovvero la forma di razzismo radicata nel profondo del corpo di polizia e delle istituzioni losangeline (e non solo), della dedizione all’insabbiamento delle vicende a loro scomode. Per non parlare del senso del potere che in talune mani diventa una vera e propria arma dal taglio negativo, usato per trarre sempre il meglio per se stessi.
Sebbene si sia cercato di dare al film un taglio narrativo e non documentaristico, unendo i fatti narrativi con i momenti più rilassati, questi due mondi non combaciano perfettamente. Il risultato, infatti, è quello di un film che cambia quasi bruscamente registro mentre dovrebbe essere senza soluzione di continuità. Il materiale narrativo è tanto e condensare il tutto ha causato anche qualche problemino di conciliazione narrativa: alcuni fatti sembrano combaciare male. In talune sequenze le informazioni sono talmente tante che sembrano vuotarsi a cascata addosso allo spettatore, concretizzando il rischio di renderlo spaesato e di non far notare le piccole incongruenze di cui sopra.
In questo film, tratto dal romanzo LAbyrinth di Randall Sullivan (candidato al Premio Pulitzer) e basato su fatti realmente accaduti, compare un Johnny Depp in stato di grazia, nei panni di un personaggio in cerca della verità assoluta, mosso dal desiderio di giustizia. Era un po’ di tempo che Depp non riusciva dare vita a un personaggio a tutto tondo, non per forza sopra le righe, esprimendo tutto il tormento che strazia il detective Pool, passato alla storia per aver indagato sugli assassinii dei rapper Tupac Shakur e The Notorius B.I.G. rimasti ancora irrisolti.