Magic Farm, recensione del film con Chloë Sevigny

Un’opera seconda brillante e surreale, vista in anteprima al MUBI Fest, in cui Amalia Ulman racconta con ironia e tenerezza il rapporto tra giornalismo, comunità locali e la linea sottile tra realtà e finzione.

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Con Magic Farm, presentato al MUBI Fest e disponibile sulla piattaforma MUBI, Amalia Ulman firma la sua seconda regia e conferma uno sguardo unico, sospeso tra antropologia pop, ironia sottile e un realismo che sfiora volutamente l’assurdo. Il film segue un gruppo di giornalisti alla ricerca di “culture particolari” da raccontare e, attraverso la loro missione fallimentare, riflette con leggerezza e intelligenza sul mondo del reportage, sulle narrazioni occidentali e sulle storie che decidiamo di vedere o ignorare.

La caccia alla “storia perfetta”

Al centro della vicenda c’è Edna, interpretata da una magnetica Chloë Sevigny, giornalista di lungo corso che guida una troupe di giovani reporter abituati a inseguire fenomeni folkloristici in giro per il mondo: dalla moda degli stivali a punta in Messico alla fashion week in Congo. Questa volta l’obiettivo li porta in Argentina, dove, tramite un contatto locale di nome Marita, devono realizzare un servizio su Super Carlitos, cantante che si esibisce travestito da coniglio.

Peccato che nulla di tutto ciò esista. O, meglio, esiste solo nel malinteso iniziale che li ha portati fin lì: Super Carlitos vive da tutt’altra parte, e la signora Marita si era limitata a condividere i suoi post sulla sua pagina social.

Quando la troupe si accorge dell’errore, invece di tornare indietro si aggrappa all’unica possibilità rimasta: creare comunque una storia. Da questo momento in poi la popolazione del luogo – incuriosita, divertita o semplicemente desiderosa di apparire davanti all’obiettivo – si presta al gioco, costruendo insieme ai giornalisti una sorta di performance collettiva in cui verità e finzione si confondono felicemente.

Magic Farm: una leggerezza che osserva, senza giudicare

Ulman sceglie un tono che oscilla tra la commedia minimale e un documentario sghembo, lasciando che la grazia dei personaggi e delle situazioni emerga senza forzature. La comunità argentina che accoglie la troupe regala momenti di freschezza e spontaneità, ma allo stesso tempo lo sguardo della regista non nasconde mai la povertà, le fragilità e lo stato di marginalità in cui vive il paese. Il sorriso non manca, ma la realtà concreta che circonda i personaggi resta costantemente in campo. Ed è proprio attraverso questa convivenza tra leggerezza e verità che Magic Farm rivela il suo commento più tagliente: la miopia di un certo giornalismo occidentale, più interessato a inseguire il “folklore perfetto” che ad ascoltare la complessità delle persone che ha davanti. Edna e la sua troupe non cercano ciò che c’è, ma ciò che credono debba esserci, inseguendo un’idea preconfezionata di esotismo che li porta persino a costruire una storia pur di non tornare a mani vuote.

È proprio questo equilibrio a rendere Magic Farm un’opera tanto leggera quanto significativa: lo spettatore si diverte, si lascia trascinare dal ritmo imprevedibile del film, ma non può fare a meno di chiedersi – come del resto ci si chiede di fronte ai protagonisti – perché la troupe non pensi mai di raccontare quello che vede davvero, anziché ciò che spera di trovare.

Tra paternità, identità e finzione

Oltre alla riflessione sullo sguardo occidentale e sul giornalismo spettacolarizzato, Ulman tocca con sorprendente delicatezza altri temi: la paternità, raccontata con totale naturalezza; la sessualità, spesso vissuta in modo buffo e imperfetto;; l’identità, intesa come maschera, ruolo, invenzione.

Nessun discorso è mai pesante o didascalico: tutto passa attraverso piccoli gesti, momenti quotidiani, dialoghi che sembrano improvvisati e invece rivelano una costruzione precisa e intelligente.

Magic Farm: un’opera brillante, che resta impressa

Con Magic Farm, Amalia Ulman esplora il confine tra realtà e rappresentazione, firmando un film che colpisce per freschezza, originalità e lucidità di sguardo. È un’opera che non punta al sensazionalismo, ma alla vibrazione leggera delle vicende osservate da vicino. Un film che si guarda con un sorriso e si ricorda con un pensiero, perché dietro ogni scena si nasconde una riflessione più ampia sul modo in cui osserviamo il mondo e lo trasformiamo in racconto.

Magic Farm
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Sommario

Un film lieve ma affilato, che con ironia intelligente smonta le illusioni del reportage esotico, punzecchia il giornalismo e offre allo spettatore una riflessione discreta ma incisiva.

Camilla Tettoni
Camilla Tettoni
Romana, classe 1997, è laureata in Lettere Moderne all’Università di Siena e in Italianistica all’Università di Bologna, con lode. Ha conseguito un Master in International Journalism presso l’University of Stirling e un corso avanzato in Geopolitica presso la Scuola di Limes. Appassionata di cinema, dal 2025 collabora con Cinefilos.it con recensioni e approfondimenti cinematografici, affiancando attività di critica culturale e pubblicazioni su riviste italiane e internazionali.

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