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Class Enemy recensione del film di Rok Biček

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Class EnemyLa normale vita di una classe superiore slovena viene improvvisamente stravolta dall’arrivo del professore Zupan, freddo e intrasigente insegnate di tedesco che non esita ad applicare fin da subito una rigorosa disciplina che lo rende subito nemico degli scolari. Quando una delle allieve si suicida improvvisamente, subito l’intera classe non esita ad accusare il nuovo professore, ingaggiando una vera e propria guerra fredda fatta di provocazione ed insubordinazione, contrastandone i metodi e l’apparente mancanza di umanità. Vincitore del premio FEDORA alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia 2013, Class Enemy si presenta come il folgorante esordio alla regia del ventottenne Rok Biček, una tesissima parabola sull’eterno rapporto alunno-insegnate in cui il fronte di battaglia va al di là delle semplici dispute generazionali, aprendosi al difficile tema della responsabilità all’educazione e al modo di affrontare un lutto. La perfetta sceneggiatura, scritta a quattro mani da Biček e Nejc Gazvoda, dipinge perfettamente in ogni minimo particolare il microcosmo di classe in cui sono presenti tutte le diverse sfumature archetipiche, come il secchione che mai osa opporsi all’autorità, il ribelle nemico del sistema educativo,, lo straniero che mai si è ambientato e il leader fragile e spavaldo. Basta il terribile atto di suicidio apparentemente immotivato di una compagna, che per altro nessuno pare conoscere a fondo, a scatenare una rappresaglia contro il nuovo arrivato, un professore severo accusato di aver istigato la giovane al gesto. Ma sarà davvero così, o si tratta di un seplice pretesto? Il tira e molla fra le due fazioni diventa interminabile, reso in maniera impeccabile dall’uso di serafici piani sequenza e macchina a mano che si uniscono alle perfette interpretazioni dei ragazzi, attraverso dialoghi taglienti che non fanno altro che saturare di tensione al vetriolo ogni singola sequenza nel lento ed inesorabile procedere della pellicola. Su tutti campeggia la bravura di Igor Samobor, mostro sacro del teatro sloveno, qui perfetto nel ruolo del temibile professore dalla inossidabile scorza ma che cela dietro di sé forse qualcosa di più di ciò che appare. I versi di Thomas Mann e di Tonio Kröger sull’indifferanza alla morte accompagnano in sottotrama gli avvenimenti, così come le velate denuce di nazismo e di plutocrazia che vengono rivolte all’insegnate, temi profondi che diventano realtà ma forse solo pretesto. Senza servirsi di alcun accompagnamento musicale, fatta eccezione che per una sinfonia di Mozart che fa da fil rouge agli accadimenti, Biček prende per mano lo spettatore e senza avvalersi di barocchismi di sorta, con l’ausialio di un minimalismo sconcertante ma efficace egli è capace di raccontare una storia emozionate di colpe ed accuse apparenti, di morte e vita, di condivisione e di conflitti che accompagnano adolscenti ed adulti in un viaggio di crescita e maturazione mai del tutto conlcuso. Chi è vermaente colpevole? Qual è, se esiste, la colpa? La sfinda è aperta!

 
Matteo Vergani
Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.

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