Cold War: recensione del film di Pawel Pawlikowski

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Dopo il glorioso Ida, premio FIPRESCI a Toronto e soprattutto premio Oscar per il Miglior Film Straniero nel 2015, Pawel Pawlikowski torna con Cold War (Zimna Wojna) presentato in Competizione al Festival di Cannes 2018. La storia, ambientata tra il 1949 e il 1964, racconta l’amore, ostacolato dalla storia e dal tempo, tra Zula e Wiktor, lei cantante dalla voce d’angelo e lui compositore. La loro possibilità di essere felici è quella di andare via dall’Unione Sovietica nel periodo della ricostruzione post Seconda Guerra Mondiale. La musica li tiene uniti, ma la storia li divide, e nel corso degli anni riusciranno a incontrarsi in giro per l’Europa, entrambi cercando di sopravvivere, sempre desiderosi di inseguirsi.

 
 

In un magnifico bianco e nero, come per Ida, realizzato dal direttore della fotografia Lukasz Zal, Pawlikowski racconta di un amore impossibile, tempestoso, ma non lo fa mai con scene madri o momenti cardine. Tutto scorre rimanendo immobile nel corso degli anni, eppure i protagonisti cambiano, si stratificano e tirano lo spettatore dentro al loro dramma.

Al bianco e nero Pawlikowski associa il formato 4:3, la breve durata e la citata assenza di picchi emotivi, tutti elementi che consegnano l’idea e la volontà di realizzare film “piccoli”, mentre lui si conferma una firma importante del cinema europeo. Intorno al rapporto tra la fumantina Zula e il colto Wiktor si instaura una dimensione musicale che li lega a dispetto di tutto ciò che li divide, su ogni altra cosa l’estrazione sociale. Ogni volta che i due si incontrano, negli anni, in un Paese europeo differente, cambia il loro accompagnamento sonoro, come se ogni luogo avesse una sua musica, anch’essa tesa ad accompagnare l’evoluzione dei personaggi, che restano fermi nel tempo soltanto se messi di fronte al loro amore.

Pur raccontando una storia romantica, in Cold War Pawel Pawlikowski non si lascia mai andare al romanticismo spicciolo, preferendo la poesia delle immagini, degli sguardi, delle voci e delle dita veloci sul pianoforte. Una visione malinconica di una storia in cui i protagonisti hanno il nome dei genitori, anche loro, come i protagonisti, cresciuti nella Polonia ricostruita, morti nel 1989, poco prima che crollasse il Muro. A loro il film è dedicato.

Sommario

In Cold War Pawel Pawlikowski non si lascia mai andare al romanticismo spicciolo, preferendo la poesia delle immagini, degli sguardi, delle voci e delle dita veloci sul pianoforte. Una visione malinconica di una storia in cui i protagonisti hanno il nome dei genitori, anche loro, come i protagonisti, cresciuti nella Polonia ricostruita, morti nel 1989, poco prima che crollasse il Muro. A loro il film è dedicato.
Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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In Cold War Pawel Pawlikowski non si lascia mai andare al romanticismo spicciolo, preferendo la poesia delle immagini, degli sguardi, delle voci e delle dita veloci sul pianoforte. Una visione malinconica di una storia in cui i protagonisti hanno il nome dei genitori, anche loro, come i protagonisti, cresciuti nella Polonia ricostruita, morti nel 1989, poco prima che crollasse il Muro. A loro il film è dedicato.Cold War: recensione del film di Pawel Pawlikowski