Diamanti grezzi: recensione del film con Adam Sandler

Un'opera caotica, rumorosa, claustrofobica, che mette in risalto la bravura di Adam Sandler e conferma il talento dei fratelli Safdie.

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Per Josh e Benny Safdie, Diamanti grezzi è il film della svolta, che li impone all’attenzione della critica e del pubblico come nuovi autori a cui guardare per il futuro. Un’opera ambiziosa, cullata per anni, che porta all’estremo quelle caratteristiche rintracciabili già nel loro precedente lungometraggio, Good Time. Con Adam Sandler mattatore assoluto, il film si muove tra richiami al cinema newyorkese anni ’80 e una brillante attualità in quanto a forme e temi. Non a caso, è Netflix a distribuire il film al di fuori degli Stati Uniti, riproponendo così quel cortocircuito tra film d’autore su supporto da home-video.

 

Protagonista del film è Howard Ratner (Adam Sandler), affermato gioielliere di Manhattan con una grande passione per le scommesse e un’inclinazione naturale per la truffa. Dopo una serie di rischiose scommesse, che potrebbero però garantirgli vincite colossali, Howard si trova costretto a dover tenere sotto controllo la vita familiare e professionale mentre cerca di far fronte ad alcuni debiti ingenti, tra i quali quelli con il cognato Aron.

Diamanti grezzi: il vizio della dipendenza

Come al solito, la sequenza d’apertura ci dice già tutto ciò che occorre sapere sul film e sul suo protagonista. Attraverso le possibilità concesse dalla CGI, la camera entra all’interno dell’opale da tutti desiderato e compie uno psichedelico viaggio tra forme e colori, che mutano finché non capiamo di essere passati dall’interno della preziosa pietra a quello di un colon umano, più precisamente quello del protagonista. Una sequenza che nella sua metafora svela il bisogno incondizionato di Howard di essere un tutt’uno con il diamante grezzo, annunciando così il tema ricorrente del film, quello della dipendenza.

Una dipendenza che si manifesta in questo caso riguardo al gioco d’azzardo, di cui il protagonista sembra essere un incorreggibile schiavo. La sua vita è un totale caos, e per 135 minuti anche lo spettatore verrà travolto dalla miriade di rumori, voci e parole che l’arricchiscono fin quasi all’eccesso, con un lavoro sul sonoro di altissimo livello. Il primo quarto d’ora del film, a tal proposito, presenta in modo estremamente dinamico il contesto in cui Howard si muove, dimostrando la grandissima abilità dei Safdie di orchestrare e gestire una messa in scena tanto vivace quanto narrativamente ricca, che ricorda in più occasioni la corsa contro il tempo del dinamico Good Time.

Sorretto da una solida sceneggiatura, il film si svela infatti essere un susseguirsi di eventi per accumulo, da cui il protagonista sembra non potersi liberare né ottenere la gloria sperata. Senso di confusione, dunque, ma anche la claustrofobia è un altro aspetto ricorrente dell’opera, incarnata da ambienti squallidi e disorganizzati, che diventano il primo indice del crollo della vita di Howard. Un crollo con cui lo spettatore difficilmente riuscirà a non empatizzare.

Diamanti grezzi: la recensione del film

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Non stupisce trovare il nome di Martin Scorsese tra i produttori esecutivi del film, poiché i Safdie svelano in modo piuttosto evidente e ricorrente l’influenza dell’autore newyorkese nelle loro opere. E se Good Time si ispirava in modo particolare a Fuori orario, film di Scorsese del 1985, Diamanti grezzi è invece un progetto più ambizioso, che del regista rielabora le atmosfere ruvide e i personaggi controversi, donando al film quei toni da ambiente malsano, sporco, merito anche dell’utilizzo della pellicola 35mm.

Un film che di autoriale ha molto dunque, e che utilizza in modo intelligente le proprie caratteristiche per risultare imprevedibile e coinvolgente. Vero diamante del film è infine l’interpretazione di Sandler, che dà nuovamente prova di essere un ottimo attore drammatico, facendosi vero nucleo di un film costruito fino al minimo dettaglio. Egli diventa la maschera del suo tempo, di un’umanità frenetica e vittima del vizio, sia esso per le scommesse, il potere o peggio ancora.

Con Diamanti grezzi, loro quinto film di fiction, i Safdie portano avanti la loro idea di cinema, che trova le proprie origini nelle produzioni della fine del XX secolo, ma che presenta un’anima estremamente contemporanea, capace di dialogare tanto con i vecchi che con i nuovi formati. E con il nuovo film realizzano davvero il progetto che li impone necessariamente alle attenzioni di tutti.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
diamanti-grezzi-adam-sandlerUn film che di autoriale ha molto dunque, e che utilizza in modo intelligente le proprie caratteristiche per risultare imprevedibile e coinvolgente. Vero diamante del film è infine l'interpretazione di Sandler, che dà nuovamente prova di essere un ottimo attore drammatico.