Disco Boy recensione film

Poche parole. Servono davvero poche parole a Giacomo Abbruzzese per costruire una storia nella quale è facile vederne così tante altre. Una storia di fuga e di fantasmi, come era stato nell’America del 2019 (il documentario che aveva preceduto questa opera prima di segno diverso), che rappresenta il cinema italiano alla Berlinale 2023, dove è in concorso. E da dove il suo Disco Boy dà l’appuntamento agli spettatori per il prossimo 9 marzo, quando arriverà nelle nostre sale distribuito da Lucky Red.

 

Disco Boy: una fuga verso la vita

Il regista pugliese sceglie una doppia narrazione, dividendosi nel seguire il giovane bielorusso Aleksei (il Franz Rogowski di Undine e Freaks Out), che durante una trasferta in Polonia si sgancia dal gruppo di tifosi con cui viaggiava e con il suo amico Mikhail tenta di raggiungere Parigi per arruolarsi nella Legione Straniera e ottenere così il passaporto francese. Una possibilità che lo storico corpo militare d’élite dell’esercito transalpino offre a tutti, senza preoccuparsi che siano criminali, “amministratori delegati” o clandestini.

In parallelo, e prima che le loro strade si incrocino con quella di Alex, conosciamo anche Jomo, giovane rivoluzionario a capo di una frangia del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger e in lotta contro le compagnie petrolifere che hanno devastato il suo villaggio. Dal quale anche la sorella Udoka (l’artista e attivista ivoriana Laëtitia Ky) sogna di fuggire, verso la Francia, verso Parigi.

Gli altri siamo noi

Spesso le storie degli esclusi trovano spazio al cinema, persone ai margini, costrette dietro confini – fisici e non – e impossibilitate a riconoscersi, a essere. Una alterità nella quale si muove Disco Boy (Abbruzzese ha già diretto un documentario, come detto), una storia di interessante esordio che che sceglie di affidarci a un personaggio principale per accompagnarci in una contorta esplorazione, una riflessione stilizzata e coinvolgente nella quale il montaggio curato dallo stesso regista e sceneggiatore è sincronizzato con il ritmo della colonna sonora firmata dalla stella della musica elettronica Vitalic.

Musica che si conferma via via elemento sempre più fondamentale del film, sia nella costruzione della connessione tra i due personaggi, sia nell’evidenziare tanto la loro ‘normalità’ quanto il bisogno di trovare una forma di espressione di sé, e magari riconoscersi simili ad altri altrimenti apparentemente diversi e lontani. Cura che si aggiunge all’utilizzo da parte del regista di canzoni famose e riconoscibili, decontestualizzate con un effetto straniante.

Disco Boy film recensione

Una storia di fantasmi e di ricerca di sé stessi

Il tentativo di influenzare il nostro sguardo è evidente sin dal titolo, ma il ritmo con il quale si procede nel processo di scoperta, accettazione e superamento del nostro ‘eroe, però,’ è quello scandito dai suoi lunghi silenzi, e dalle sue assenze. Spazi di profonda analisi, affidata allo spettatore e suggerita – anche in modo insistito e ammiccante – dalla messa in scena, più “sciamanica” che psichedelica, per ammissione dello stesso  Abbruzzese, che gioca in maniera intrigante con i fantasmi. Quello dell’amico perduto, e celebrato in maniera grossolana eppure sentita, e quello della sua vittima – casuale, conseguenza del plagio del miraggio disumanizzante della Legione Straniera – alla quale Alex finirà per dare una nuova vita, in qualche modo realizzandone il sogno.

Compagni di solitudine prima, poi guide nell’affrancamento, i fantasmi sono l’elemento chiave di una storia di rinunce e rinascita, che passa dal rifiuto di una identità smerciata, scelta per opposizione, per sfuggire al giudizio di “nullità” di una società violenta e interessata, a una liberazione che arriva abbandonando il razionale e affidandosi all’istinto più profondo. Una storia di passaggio non priva di qualche manierismo ed eccesso di compiacimento, ma che riesce a far convivere espressioni vitali e suggestioni intellettuali in una forma comunque convincente.

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