Freaks Out, recensione del film di Gabriele Mainetti

Presentato in Concorso a Venezia 78, Freaks Out è il secondo film di Gabriele Mainetti, che arriva dopo il grande successo del suo esordio, Lo Chiamavano Jeeg Robot.

Freaks Out film 2019

Gabriele Mainetti è tornato. L’attesa è stata sfibrante: nel 2015 Lo chiamavano Jeeg Robot era stato un successo clamoroso ricevendo valanghe di riconoscimenti, facendo accedere Ilenia Pastorelli al fatato mondo del cinema (e dei David di Donatello), e confermando una volta in più la sacralità folle delle doti attoriali di Luca Marinelli, così come di Claudio Santamaria – per quanto, quest’ultimo, imbolsito e con l’occhio a mezz’asta, sfruttato in chiave positiva, da eroe ruvido ma dal cuore di panna.

 

Freaks (sono) out!

Freaks Out è una tra le gemme del cinema italiano in Concorso a Venezia alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, e regala uno spettacolo pirotecnico, proprio come il “Circo Mezzapiotta” di Israel (Giorgio Tirabassi), che non si risparmia in luci, colori e bagliori di fuliggine volante.

Avvalendosi, infatti, sempre della scrittura di Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti confeziona un fantasy intensamente nostrano, ma con l’intelligenza e l’acume dell’elaborazione e la mescolanza di una tecnologia decisamente ben utilizzata, che volge lo sguardo anche verso il cinema del resto del mondo.

Freaks Out parla in maniera perfetta e ritmata di un gruppo di scalcagnati – neanche a dirlo – romanacci d.o.c., che fanno parte, appunto, del “Circo Mezzapiotta” di proprietà di Israel. Cencio (Pietro Castellitto), Fulvio (Claudio Santamaria), Matilde (Aurora Giovinazzo) e Mario (Giancarlo Martini) sono quattro adorabili fenomeni da baraccone, amati come figli dal loro presentatore e gestore d’esibizioni itineranti, che possiedono però realmente dei poteri soprannaturali e che diventeranno, loro malgrado, oggetto d’interesse di un malvagio nazista che prevede il futuro (Franz Rogowski), a sua volta a capo di un sanguinario circo tedesco.

Freaks OutL’ambientazione storica di Freaks Out

Perché, a condimento di tutto questo fantastico carrozzone, il contesto scelto dagli autori è il 1943, anno di grande sofferenza e rastrellamenti, che subiranno tutti i protagonisti della nostra storia, soprattutto per le qualità che li contraddistinguono. E in effetti quasi ogni personaggio del film con cui si entra in contatto è caratterizzato da qualcosa per certi aspetti di orrorifico, dunque le persecuzioni naziste, dopotutto, simboleggiano tutto ciò che in assoluto si vorrebbe distruggere, quando non rientra entro i ranghi dell’accettabilità. Ma non è certo solo questo ad interessare al regista.

Tutta l’architettura di Freaks Out rappresenta in realtà lo spasso di un ragazzo che mette insieme i suoi supereroi, inserendoli in un ambiente a lui caro e conferendogli quel giusto senso di “imbranatezza” che soltanto noi, da bravi italiani un po’ malandati, possiamo conoscere. E nel farlo si diverte un mondo.

Mainetti è un creatore che ha colto l’essenza di come unire l’utile al dilettevole: ciò che si desidera fortemente mettere in scena partendo, però, dalla precisa consapevolezza di chi si è personaggi un po’ storti, bucherellati, ma tremendamente geniali, simpatici e passionali.

Personaggi passionali e “storti”

Tant’è che un altro degli elementi che fa perdutamente innamorare del film, è l’ardore traboccante che trasuda sempre dai suoi protagonisti, anche i cattivi. Il desiderio scalpitante, continuo, che muove ogni interprete della storia: partendo dalla voglia di giustizia, d’amore, di conquista del mondo o dell’attenzione del proprio fratello, ognuno freme per arrivare ad agguantare ciò che agogna.

E il regista sa raccontarlo con un’efficacia così fluida, da renderla vera e incredibilmente attraente. Perché se c’è una cosa che questi supereroi conoscono bene, è la difficoltà a convivere con l’ingombro di loro stessi. Ed così perfetto quando nella scrittura di una storia si combinano insieme l’impaccio e la bellezza, l’artista con l’arte, senza rinunciare mai ai difetti, agli aspetti – naturalmente – un po’ freak.

La spettacolarità del cinema italiano incarnato dalla seconda opera di Gabriele Mainetti, racconta la scaltrezza del non rigettare mai quel che sembra malconcio, ma incorniciarlo con attori che siano dei fuoriclasse, una fotografia e dei suoni calibrati e studiati al millimetro, e da lì far iniziare la magia.

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