Experimenter: recensione del film con Peter Sarsgaard

Experimenter

Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2015, Experimenter è tratto dalla reale storia dello psicologo statunitense noto soprattutto per la sua teoria dei sei gradi di separazione. Il film di Michael Almereyda trasforma in scelta stilistica il pragmatismo tipico dello studioso nell’approccio ai suoi esperimenti, preciso, didascalico e brillante. Tre aggettivi che messi insieme sembrano stridere, ma che in questo film riescono a contaminarsi bene, ma non in maniera eccelsa.

 

In Experimenter Stanley Milgram (Peter Sarsgaard), brillante psicologo, nel 1961 inizia una serie di esperimenti sull’attitudine delle persone all’obbedienza. L’esperimento pratico consisteva nell’ordinare ai soggetti volontari di trasmettere una scossa elettrica ad altri volontari. Nonostante le urla di dolore delle vittime, la maggioranza dei soggetti continuò a obbedire agli ordini, sconvolgendo un’intera comunità di psichiatri che non credeva possibile una reazione simile. L’etica degli esperimenti di Milgram fu aspramente criticata, ma lui tenne fede ai suoi obiettivi, tentando di portare in tutto il mondo il suo libro Obedience to Autority.

A dare impulso al suo lavoro fu, principalmente, la violenza perpetrata durante il secondo conflitto mondiale nei confronti degli ebrei. Milgram stesso era di origini ebree e il suo lavoro aveva obiettivi precisi: capire come funzionano esattamente i meccanismi di obbedienza all’autorità e quanto impatto ha la dinamica di gruppo nella decisione di un singolo individuo. Furono queste le maggiori preoccupazioni che lo tennero impegnato lungo il corso dei suoi studi. Il fine ultimo era la consapevolezza, perché sapere è essere coscienti e la coscienza è lo strumento che permette a un individuo di opporsi alla banalità del male.

È appunto Stanley a guidarci nei suoi esperimenti, richiamando la nostra attenzione con frequenti sguardi e “a parte” direttamente in macchina da presa. Quella che ci viene raccontata è una storia interessante e addirittura illuminante, se se ne apprende per la prima volta e dunque costituisce di per sé un’attrazione notevole, che il tono brillante aiuta a tenere alta. Tuttavia non si riesce a fare a meno di sentire la mancanza di una più capillare profondità. L’atteggiamento di estraniazione, necessaria allo psicologo per portare a buon fine i suoi esperimenti, si traduce nella scelta di far uscire il personaggio dal film stesso. Un concetto che il regista ci trasmette non solo con l’interpellazione da personaggio a spettatore, ma con sequenze in cui la scenografia si fa bidimensionale, rendendo la figura fisica del personaggio letteralmente scontornata dal resto, super partes.

Experimenter è un film interessante e godibile ma che sembra soffrire di una scrittura dei personaggi fin troppo essenziale.

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