Arriva alla Festa del Cinema
di Roma dopo un passaggio al New York Film
Festival, Junun, documentario del
registra Paul Thomas Anderson.
Il documentario musicale segue il chitarrista e compositore
poli-strumentista dei Radiohead, Jonny
Greenwood nel suo viaggio in India a Febbraio 2015, dove è
stato invitato a collaborare con Shye Ben Tzur,
artista israeliano, nella creazione del suo ultimo album.
Insieme al mega produttore dei Radiohead Nigel
Goodrich e alla band locale di corde e fiati che si fanno
chiamare Rajasthan Express, i musicisti si sono
ritrovati a condividere giornate di lavoro nella creazione
dell’album di Ben Tzur nella splendida cornice di una palazzo del
quindicesimo secolo chiamato Mehrangarh Fort
appartenente al Maharaja, con spettacolare vista sopra a Jodhpur
nel nord-ovest dell’India.
Al centro del documentario c’è indiscutibilmente la musica, che lascia poco spazio a parole che si potrebbero contare su una mano: il processo di creazione, di stare insieme, di collaborazione e i progressi sono ripresi dall’occhio di Paul Thomas Anderson, che apre con una spettacolare ripresa dal centro del cerchio creato dai musicisti seduti a terra. Junun in lingua Hindi significa “passione” o “mania dell’amore” e rappresenta in pieno la musica che Ben Tour e Greenwood ci fanno ascoltare: le melodie iniziano piano, delicatamente e crescono ad un ritmo più insistente e martellante, accompagnati da cantilene che tanto si avvicinano a richiami di preghiera. Ben Tzur guida il gruppo, mentre Greenwood, magrolino e frangia lunga a coprire il viso se ne sta in disparte ricurvo sulla sua chitarra a creare e osservare.
Non è la prima collaborazione tra Anderson e Greenwood, ma normalmente è il secondo che si presta all’arte del primo. Sin dal 2007 il chitarrista ha creato le colonne sonore per i film di Anderson, partendo da Il Petroliere, passando per Norwegian Wood ed …E ora parliamo di Kevin fino a The Master e Vizio di Forma. Insomma un sodalizio che funzione di reciproca collaborazione e forse Junun è un modo per ripagare Greenwood del lavoro svolto: ma ad essere sinceri Paul Thomas Anderson non si spreca più di tanto su questo documentario, che fa pensare che il suo passaggio ai festival sia più dovuto al richiamo del suo nome che al contenuto stesso. Certo, con uno sguardo esclusivo ci porta all’interno di questo processo di creazione, ma il più delle volte il regista sta lì a divertirsi a fare riprese (sì, spettacolari) con un drone.
Perché sono lì? Perché Jonny Greenwood è in India? Perché sta collaborando con Shye Ben Tzur? Non avremo queste risposte da Junun e questo a mio avviso è una grande pecca. Ma avremo solo 54 minuti di bella musica, che non è poco.