Les Rois du
monde di Laurent Laffargue viaggia
sospeso tra i territori del polar nudo e crudo e del
western. È una pellicola particolare ed inafferrabile, che procede
per immagini e libere associazioni di genere, mantenendo alta la
tensione e concentrando le esperienze- e le esistenze- dei
protagonisti all’interno degli stretti confini di Casteljaloux,
paesino della Guascogna. In questo paesaggio sospeso tra la
desolazione della piccola frazione e l’immensità spaziale che
caratterizza i paesaggi americani,
si muovono come attori sulla scena Jeannot (Sergi
Lòpez), alcolizzato, avanzo di galera, violento, ruvido e
segnato come i solchi che attraversano il suo volto: dopo tre anni
di carcere, l’unico elemento che lo tiene ancorato a terra è
l’amour fou che prova per Chantal (Céline
Sallette), attrice mancata e spirito libero per la quale è
arrivato a mutilare un uomo. Adesso che è tornato in paese, mentre
ritrova i personaggi di sempre (il barista,l’amico di bevute Jean-
Francois incapace di vivere liberamente la sua sessualità
all’interno dei confini del paese) e la sua donna, che adesso
“appartiene” ad un altro, Chichinet (Eric
Cantona), uomo stabile e massiccio che coltiva il sogno di
riaprire la macelleria di famiglia. Il ritorno di Jeannot nella
vita della coppia scatenerà una serie di drammatici avanti, che si
inaspriranno annegando sempre di più nel limaccioso mare della
tragedia. Affiancate alle loro vicende, viviamo quelle di un
terzetto di giovani attori, Romain (Victorien
Cacioppo), Thibault (Jean- Baptiste
Sagory) e Pascaline (Roxane Arnal),
uniti- e divisi allo stesso tempo- dall’attrazione per la stessa
donna.
La pellicola, come conferma
lo stesso regista Laffargue- che proviene dal mondo del teatro- si
nutre dei capisaldi della tragedia greca, mettendo letteralmente in
scena un melodramma cupo e “disperante”, che parte con il tono
della commedia grottesca e picaresca (ma la lunga ombra della morte
fa già la sua prima comparsa) e che in modo lento ed inesorabile,
come una vorticosa discesa nel maelstrom funesto della passione,
cambia forma diventando a tratti un noir a base di piccoli
malavitosi e “criminali da strapazzo”; una riflessione meta
teatrale che si avvicina ai toni del melò
adolescenziale e infine una tragedia a tutti gli effetti, un dramma
che ruota intorno ad un elemento solo: l’amore malato, l’amore
eccessivo ed irrefrenabile, l’amore cieco che due uomini (Jeannot e
Chichinet) provano per la stessa donna; una vicenda speculare a
quella del triangolo Romain- Pascaline – Thibault, ma dagli esiti
opposti: da una parte non è prevista nessuna forma di redenzione o
di fuga per gli adulti, imprigionati ormai nelle loro vite e nelle
loro forme d’essere fisse e immutabili; dall’altra, viene
riconfermato il dinamismo dei tre giovani, pronti ad abbandonare-
almeno, uno di loro- quella prigione di polvere e noia per tentare
di evadere, costruendo e vivendo il suo sogno.