Fino a Qui Tutto Bene, prima che essere un titolo, è una sorta di mantra. Un mantra positivo e rassicurante che i protagonisti del film di Roan Johnson continuano a ripetersi quasi inconsciamente, come la maggior parte degli studenti universitari arrivati alla fine del loro percorso di studi e pronti ad essere abbandonati nel mare aperto della vita, con solo un salvagente di sicurezza e potendo contare esclusivamente sulle loro forze.
La pellicola immortala gli ultimi giorni di un variegato gruppo di studenti universitari pisani pronti ad abbandonare la loro amata casa, teatro di gioie, dolori, successi, cadute e amori: due ragazze e tre ragazzi, ognuno col suo mondo, le sue aspettative, ognuno pronto ad affrontare l’esterno e ad uscire dal guscio protettivo della famiglia “improvvisata” che si sono creati. Ma quell’inesorabile senso di fine che aleggia sulle loro teste non fa altro che aumentare la malinconia nei confronti di una “tarda adolescenza” che pian piano sfuma, per scivolare nel mondo degli adulti.

Fino a qui tutto bene è stato presentato alla nona edizione del Festival del Film di Roma riscuotendo un ottimo successo e vincendo diversi premi: nonostante alcune debolezze drammaturgiche ed una struttura più simile ad un collage di frammenti vari sparsi tra ricordi ed eventi, Johnson gira una comedy dal gusto on the road che immortala una generazione- quella che è nata e cresciuta nella lunga ombra della crisi- e costruisce un ideale racconto di formazione restringendolo all’arco narrativo di un paio di giorni, sospendendo il giudizio e annullando i pronostici, aprendo la porta alle infinite possibilità che il destino può riservare ad ognuno di noi.
