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Per Alberto Barbera, direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Full Time – Al cento per cento è il ”film rivelazione dell’anno”. Il lungometraggio diretto da Eric Gravel e con protagonista Laure Calamy è un ritratto realistico della società francese odierna: mostra la vita quotidiana, tutt’altro che semplice, di una madre single che vive in periferia e non guadagna abbastanza.

 

La trama di Full Time

Julie è divorziata, ha due figli e vive nella periferie parigina. Lavora come governante in un hotel a cinque stelle di Parigi: ogni giorno si sveglia all’alba, prepara i suoi bambini, li consegna alla baby sitter e prende il treno per la città. Julie è laureata, lavorava nell’ambito della ricerca sociale ma, dopo essere stata licenziata, non ha trovato nulla di meglio del lavoro nell’hotel. Un po’ per necessità – l’ex-marito non contribuisce con gli alimenti come dovrebbe, un po’ per ambizione, Julie continua a fare colloqui per tornare a lavorare nel suo settore.

Riesce finalmente ad ottenere un appuntamento per ”il lavoro perfetto”, ma il tempismo non sembra aiutarla. Nella stessa settimana, Julie deve fronteggiare il colloquio per il nuovo impiego, gli scioperi e le manifestazioni che bloccano la circolazione a Parigi, il capo del personale dell’hotel che la mette sotto pressione, il compleanno del figlio e le lamentele dell’anziana baby-sitter. Riuscirà la protagonista a gestire tutto o verrà sopraffatta?

Una vita ”Full Time”

Il titolo di Full Time parla da sé: Julie non solo ha un impiego a tempo pieno, ma vive ogni attimo della sua vita come un lavoro, un dovere dopo l’altro. Come uno schema, si sveglia, veste i figli, prende il treno, lavora, mangia, lavora, riprende il treno, lava e mette a letto i figli. E di nuovo da capo. L’unico attimo di pace potrebbe essere il bagno a fine giornata, ma il boiler dell’acqua calda rotto e i capricci dei bambini guastano anche questo momento.

Il regista sceglie di raccontare la vita di questa mamma single senza troppi fronzoli: fa una ricostruzione quasi documentaristica della settimana di Julie, giorno dopo giorno. Non si vedono in Full Time scene melodrammatiche, scene finte ”da film”. Non ci sono commenti o narrazioni che esagerano le situazioni vissute dalla protagonista. Tutto è estremamente reale e per questo d’effetto.

Un racconto ansiogeno per il suo realismo

Full Time è un crescendo di tensione, un climax che, scena dopo scena, problema dopo problema, arriva al suo culmine poco prima della fine. Per come è costruito, il film genera un senso di angoscia tangibile. Guardando il lungometraggio ci si immerge in una storia che potrebbe essere vera. Quello di Full Time è un mondo che barcolla e perde pezzi su tutti i fronti: la vita privata, la società attorno, il lavoro, la comunità, tutto arranca e niente sembra stabile.

In tutto ciò, Julie è sola: non ha il sostegno dell’ex-marito, la baby-sitter la mette alle strette, le colleghe sono spietate e in mezzo ci si mettono anche gli scioperi. È impossibile non empatizzare con lei e non immedesimarsi. L’ansia arriva addirittura a far temere il peggio: lo spettatore diventa più coinvolto – e più pessimista – della protagonista. Il lavoro dell’attrice contribuisce all’ottima resa del film: Laure Calamy è un volto di pietra, paralizzato dalle preoccupazioni. Si percepisce la tensione sotto la maschera di una madre, una collega, un’amica che cerca di andare avanti senza dare a vedere le sue angosce.

Non a caso, Calamy è un attrice coinvolta nei temi sociali. Ha già recitato in film e serie che criticano il mondo dei lavoro: tra tutti ricordiamo lo show francese Chiami il mio agente!, serie sulla professione dell’attore. Inoltre, Calamy è membro del Collettivo 50/50, organizzazione che ha l’obiettivo di promuovere la parità tra donne e uomini nel settore cinematografico e televisivo.

Un film già premiato dalla critica

Full Time è già stato amato dai critici: presentato a Venezia, ha vinto il Premio Orizzonti Miglior Attrice (Laure Calamy) e il Premio Orizzonti Miglior Regia (Eric Gravel). Originale, documentaristico e abilmente costruito a livello di suspence, speriamo che il film possa conquistare anche il pubblico in sala.

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