Gli Infedeli: recensione del film con Jean Dujardin

Gli Infedeli recensione film

Nove episodi per sette registi, due mattatori a dominare la scena, Dujardin e Lellouche,  un solo tema principale: l’infedeltà, questo è Gli Infedeli. Ne Gli Infedeli Emanuelle Bercot, Fred Cavayè, Alexandre Courtès, Michel Hazanavicius, Eric Lartigau, Jean Dujardin e Gilles Lellouche si alternano alla regia in nove episodi, sei principali e tre intermezzi, in cui viene affrontato il tema dell’infedeltà, analizzato in tutte le sue sfaccettature. L’infedeltà come sorta di patologia e a cui non si riesce a rinunciare come nel caso del “Prologo”, che apre il film prima ancora dei titoli di testa; l’infedeltà come desiderio inappagato ma assillante come ne “La coscienza pulita” oppure come segreto che una volta svelato può aprire a inaspettati scenari come nell’episodio “La domanda”. L’infedeltà come mezzo per sentirsi ancora giovani e fuggire dalla realtà di tutti i giorni come in “Lolita” oppure come percorso tortuoso e fuorviante che può portare a conclusioni sorprendenti e incredibili come nel capitolo che chiude il film “Las Vegas”.

 

Jean Dujardin e Gilles Lellouche si saranno divertiti parecchio ad interpretare i diversi personaggi che scorrazzano da un episodio all’altro cambiando di continuo profili, contorni e acconciature varie, mostrando in ogni circostanza una grande complicità. Lo spettatore, probabilmente, si divertirà molto meno in quanto “Gli infedeli”, film ad episodi in uscita il 4 maggio nelle sale italiane, è un insieme confuso e arrangiato di luoghi comuni e banalità sul tema trito e ritrito dell’infedeltà coniugale.

Il freschissimo premio Oscar Jean Dujardin, finita di lucidare la tanto agognata e meritata statuetta (The Artist 2011) si è immediatamente tuffato nella commedia leggera, cavalcando l’onda di cotanta e inattesa popolarità. Alternando look da sciupafemmine dal fascino innegabile a personaggi impacciati se non grotteschi, come ne l’episodio di “Lolita”, Dujardin si mostra particolarmente generoso nel mostrare il proprio fondoschiena così come un autoironia spiccata e simpatica che sicuramente non gli si può eccepire. Gilles Lellouche regge il gioco con mirabile talento e dimostrando la stessa capacità eclettica nel passare da un personaggio all’altro ma sopratutto trasmette un feeling naturale con l’amico e collega con il quale si integra e completa.

E’ la sceneggiatura che lascia alquanto perplessi; laddove il film vorrebbe essere serio e riflessivo, come ne “La domanda”,“Lolita” e “Las Vegas”, appare scontato e prevedibile oltre che alquanto ovvio mentre in quegli episodi che vorrebbero divertire con una comicità un po’ spintarella, “Prologo” ,“Gli infedeli anonimi” e i tre intermezzi, commette l’errore di sconfinare in una volgarità spesso fastidiosa ed eccessiva. In un particolare episodio poi si ambisce ad entrambe le finalità, “La coscienza pulita”, con il risultato di fallire miseramente su tutti i fronti. Quest’ultimo episodio citato è quello a nostro avviso di gran lunga peggiore e fa un certo effetto constatare che sia quello diretto da quel Michel Hazanavicius che solo poche settimane fa ritirava al Kodak Theatre di Los Angeles il premio Oscar per il miglior film vinto dal “suo” The Artist.

Gli infedeli è un film che non propone nulla di nuovo su un tema battuto miliardi di volte dal cinema mondiale e che di conseguenza incappa in conclusioni scontate e ovvie e lo fa in alcuni casi sfiorando il rischio del plagio come ne l’episodio “La domanda” che per la trama narrativa ricorda terribilmente Eyes Wide Shot. Un film spesso eccessivamente sboccato e volgarotto in cui salviamo le interpretazioni dei due protagonisti che comunque mostrano indubbie capacità sia comiche che drammatiche oltre che ai titoli di testa: bellissimi sia per montaggio tecnico che per le musiche. Gli infedeli, dal 4 maggio nei cinema italiani per chi è alla ricerca di 109 minuti senza troppe pretese.

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