Good As You: recensione del film di Mariano Lamberti

Good As You

In Good As You Quattro uomini e quattro donne, più o meno amici, chi più chi meno gay, trascorrono insieme la notte di Capodanno. La casa della festa sarà teatro di riconciliazioni, di nuovi legami e di feroci discussioni. Da quel momento nella vita dei ragazzi accadranno avvenimenti inaspettati e travolgenti che turberanno le rispettive storie d’amore e che metteranno in dubbio perfino la solidità di vecchie amicizie e legami di sangue.

 

Good As You, ‘prima commedia gay italiana’, diretta dal regista Mariano Lamberti uscirà il 6 Aprile nelle sale, distribuita da Iris. Oltre a non rappresentare davvero un primato ma un punto di vista sul modo di pensare e di vivere di una parte ridotta dello sterminato universo gay, il film non riesce ad evadere dalla terra degli stereotipi che avvolge in particolar modo l’immagine dell’omosessuale capitolino, confinato fra i lustrini e le paillettes del Muccassassina e il muretto che fronteggia il Coming Out.

Tuttavia sembra che sia stato proprio questo l’intento del regista: quello, cioè, di essere spregiudicato, per sbattere in faccia al pubblico questi clichè che, oltre che divertire e perché no provocare, esistono davvero nel circuito omosessuale. Nell’opera, che si ispira all’omonimo spettacolo teatrale di Roberto Biondi, più che al cospetto di personaggi ci troviamo di fronte a maschere orgogliose e consapevoli di essere tali.

C’è la classica ‘checca isterica’ (Diego Longobardi), la coppia gay tormentata (Enrico Silvestrin-Lorenzo Balducci), il ‘marchettaro’ esotico (Luca Dorigo), le bisex confuse ed insoddisfatte (Daniela Virgilio e Micol Azzurro), la dura fuori ma tenera dentro (Lucia Mascino) e la lesbica estremamente mascolina – in gergo ‘butch’ – unica incapace di usare strategie in amore. È infatti solo sull’amore e sui rapporti di coppia che il film si concentra. Ciò, purtroppo, non fa che renderlo molto simile alla maggior parte delle commedie italiane. Magari non sarebbe stato il caso di tirare in ballo direttamente e drammaticamente i problemi che oggi affliggono la generazione dei trentenni – l’età dei protagonisti percorre quella fascia – ma risulta quantomeno poco credibile osservare queste maschere saltare da una festa all’altra avvolti da abiti firmati e rientrare in case da sogno.

C’è un accenno finale al tema della fecondazione artificiale che sicuramente avrebbe potuto rubare un po’ più di pellicola ad altre sequenze. Buona la colonna sonora, The lady in the tutti i frutti hat, un successo di Carmen Miranda, interpretato per l’occasione dalle splendide Gemelle Kessler. Convincente anche la recitazione di alcuni attori, prima fra tutti quella di Elisa Di Eusanio che, pur dovendo rappresentare la più stereotipata fra le donne, da’ voce e volto al personaggio più genuino.

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